Attendendo il referto

Attendendo il referto

  • di Redazione
  • 21 Agosto 2018
  • Rita, poesie e non solo

Ritorna l’appuntamento con la rubrica del martedì, la nostra amica Rita Meleddu ci regala un altro racconto 

Mi pare di aver parlato in un altro dei miei racconti che poi sono storie di vita vera (la mia), dell'ansia che si prova ogni volta nell'attesa del referto di esami importanti. Mentre eseguo questi esami che possono essere una tac piuttosto che una risonanza, sono abbastanza serena. Durante tutto l'esame penso che ormai ci sono e non posso più tirarmi indietro e anzi quasi incito questo esame sofisticato e preciso a scandagliare bene il mio corpo e a darmi l'esito corrispondente alle mie reali condizioni di salute. Ogni volta che il tecnico pone fine all'esame con la consueta frase:"Abbiamo finito!", automaticamente mi viene da pensare:"Il dado è tratto", ossia quello che c'è da scoprire a breve si saprà e a questo punto non posso più tirarmi indietro. Ecco dal momento esatto in cui il tecnico dice la frase che pone fine all'esame, incomincia l'attesa. Ormai da anni faccio la TAC da esterna, ossia mi reco in uno studio privato convenzionato perché l'ospedale nel quale sono in cura non ha disponibilità di posti, a meno che non si tratti di un'urgenza e allora il posto si trova. Mi trovo bene in questo studio, i referti sono dettagliati e come dicono gli oncologi è sempre meglio effettuare certi esami nello stesso posto, perché cambiando macchinario i risultati possono variare, insomna gli esami sono più affidabili se fatti sempre con lo stesso macchinario. 

Dicevo che da tanti anni ormai mi reco almeno due volte all'anno per la tac nello stesso studio per esami, e in genere il tempo d'attesa per avere il referto è di una settimana. Ora, poiché faccio questi esami da esterna, il referto viene consegnato a me personalmente, diversamente se faccio la TAC nel mio ospedale, il referto andrà direttamente in cartella e ne verrò a conoscenza solo nel momento in cui andrò in visita dalla mia oncologa che mi leggerà e spiegherà il referto. Dunque, comincia l'attesa. Una settimana è lunga da passare. Cerco di non pensare a ciò che mi attende e delle volte ci riesco pure, ma altre volte il pensiero corre lì.  Con la mia situazione non posso aspettarmi ormai nulla di buono, mi accontenterei di una situazione stazionaria che già è abbastanza e ne avanza, allo stesso tempo sono però speranzosa.  Chi lo sa che questa TAC non mi porti invece buone nuove. Come Dio vuole tra crude considerazioni e velate speranze arriva il giorno del ritiro esami. Quasi scalpito e non vedo l'ora. Nulla mi distoglie dal pensiero che a breve avrò tra le mani questo responso e presto lo leggerò. Mio marito mi chiede sempre se gradisco un cappuccino e una pasta subito non apoena arrivati a Cagliari, quindi prima del ritiro dell'esito e io ogni volta ribadisco di no, voglio prima leggere la sentenza e per quanto potrà essere brutta non dovrà essere capace di togliermi l'appetito.  Tanto che io mangi o no, il verdetto non cambia. E dunque devo essere in forze qualunque sia l'esito. Ecco, ormai ci siamo. Percorro la strada che dalla macchina lasciata al parcheggio conduce allo studio, quasi a occhi chiusi, la so a memoria per quante volte in questi lunghi anni l'abbiamo percorsa e ripenso alle TAC precedenti. A quanto erano belle e concise all' inizio delle cure. Quando a parte il torace era tutto pulito. Il referto consisteva in poche righe ma c' era tutto. Ora il referto è lunghissimo, fitto fitto e occupa quasi due pagine ed è sempre più lungo ad ogni nuova TAC.  Segno che il tumore non si accontenta più dello spazio preso ma ne pretende altro.  Sempre di più...

Ma ecco, ci siamo quasi, riesco a vedere lo studio dove vengono consegnati i referti, ma quante persone in attesa. Giovani e meno giovani. Tutti però col volto teso. Provo a immaginare la loro storia. Non tutti certamente sono qui per un tumore, qualcuno anzi scoprirà che per tutta una settimana avrà avuto paura per niente, chi invece avrà la conferma di avere un tumore, chi vedrà un aumento delle lesioni nel caso abbia già un tumore, chi invece riceverà una gradevole sorpresa scoprendo che il tumore è scomparso del tutto o si è ridotto. Chi invece ha fatto la tac per qualsiasi altro motivo ed ora ha in mano il referto. Ad ogni modo ci accomuna l'ansia di sapere.  Sono sempre convinta che è meglio saperle le cose per quanto brutte perché si possono affrontare con le armi a disposizione piuttosto che stare nel dubbio. Ma intanto avanzo pian pianino verso lo sportello dietro il quale un dipendente dello studio distribuisce le nostre sorti.  Ancora tre persone poi toccherà a me. Non sono agitata ora,  una calma quasi innaturale si impossessa di me. Devo assolutamente vedere subito il mio referto. Ci deve essere stato un disguido o un fraintendimento, la persona che ora è allo sportello, attende come me il referto, ma non se lo vede consegnare perché non si trova, attimi di attesa che sembrano ore, il dipendente telefona non so a chi. Forse il referto non si trova ma alla fine giungono a un accordo. Non so neppure a quale perché non li sento più, penso solo a ritirare il mio esame. Ecco ora ho solo due persone avanti a me. Fanno veloci. Una firma e via. Finalmente sono di fronte al dipendente, dico le mie generalità, lui si gira verso uno scaffale o qualcosa del genere dove sono allineat  i i referti col destino di tanti, fruga, legge i nomi e immediatamente mi consegna il referto tanto atteso, più i vecchi esami che avevo portato per il confronto.  Non mi interessa minimamente dei vecchi esiti. Ormai non hanno più alcuna valenza. Giusto per un confronto servivano. Firmo, ringrazio il dipendente, saluto e lascio lo studio e gli altri in attesa, al loro destino. Sarà più favorevole del mio? Non lo saprò mai.

Fino a pochi mesi fa nella saletta dove appunto si consegnano i referti, era presente un divanetto. Non appena ero in possesso del referto, mi sedevo (è sempre meglio sedersi quando si prevedono brutte notizie) e leggevo subito il referto. Ora il divano non c'è piu e dunque esco fuori e non faccio neanche due passi che leggo il mio esame. Elio attende con ansia evidente che lo renda partecipe di quanto scritto e aspetta i gesti consueti. Pollice in alto se le cose vanno bene diciamo così e pollice verso se vanno male. Io riesco a leggere con distacco la mia stessa TAC . Alcune volte mi pare di vedere un'altra persona e non me, fare esami, visite, cure ecc. Questo distacco mi permette di vivere una vita quasi normale. Diverso è per chi mi vuole bene come Elio e i miei famigliari o comunque mi vuole bene e vedono il tutto molto amplificato. Vero pure che c'è poco davridere visto che l'ultima TAC di maggio è stata disastrosa.  La mia stessa oncologa mi ha chiesto come facessi a stare bene con una TAC simile. E in effetti bene bene non sto, quindi tornando a noi, io leggevo la TAC, Elio aspettava i segni. Ed è stato tutto un susseguirsi di pollice verso. Ho realizzato subito che la situazione era cambiata in peggio, sapevo già che questo avrebbe portato a un altro cambio di chemio nella speranza che questa nuova avrebbe portato miglioramenti in qualche punto perché è impensabile che si possa domare la malattia. 

Quando il fuoco è all'inizio è più facile spegnerlo, quando divampa è quasi impossibile sedarlo senza che esso abbia fatto grossi danni. Comunque proseguo nella lettura bella lunga del referto, accidenti mi dico, la situazione è più drammatica di quanto pensassi, la mia oncologa dovrà affilare bene le armi per combattere o almeno contrastare questo diavolo di tumore ma saranno affari suoi. Ha studiato per questo. Io da questo momento posso fare ben poco per aiutarmi se non eseguire gli ordini e i consigli della mia dottoressa e siccome non amo fasciarmi la testa prima di essermela rotta, e non perdo mai la mia verve e il mio spirito, dico a Elio:"Beh! Che aspettiamo? Non andiamo a prenderci un caffè, un capuccino e due belle paste?" 
Al resto ci penserà la mia dottoressa o come diceva Franco Califano in una sua celebre canzone "Tutto il resto è noia..."