In piedi, e vai a prenderli i tuoi desideri e digli chi sei e chi eri, e le parole sfonderanno i muri!

In piedi, e vai a prenderli i tuoi desideri e digli chi sei e chi eri, e le parole sfonderanno i muri!

  • di Redazione
  • 5 Aprile 2022
  • Amor vincit omnia

L'amica Daniela Zedda racconta la sua determinazione e la voglia di non mollare mai!

DISCLAIMER: Parlatene, parlatene sempre, perché’ i silenzi diventano macigni, e il dolore per dissolversi ha bisogno di essere espresso e liberato, così da poter finalmente lasciare spazio al futuro che verrà!

La mia diagnosi arrivò pochi giorni dopo la riapertura successiva al primo lockdown nazionale, quello del 2020, quello delle morti continue per Covid 19, quello della rigida zona rossa, quello che ha portato il Sistema Sanitario al collasso. Riuscii a trovare la prima mammografia disponibile solo a Cagliari, e nonostante la dicitura URGENTE, riuscimmo a fissarla in una struttura a pagamento, solo per il 31 luglio…ma, eravamo ai primi di giugno! Due mesi erano troppi! Riuscimmo, per un puro caso, a sapere che a Senorbì eseguivano solo la mammografia con la dicitura urgente, e riuscii a fissarla, quindi, dopo pochi giorni. Tirai un sospiro di sollievo. ERO DECISA! Qualunque cosa avessi avuto NON MI SAREI ARRESA facilmente, ero DETERMINATA, disposta a qualunque sacrificio pur di VINCERE.

Io che non sono mai stata competitiva, volente o nolente, per la prima volta partecipavo a una "competizione", a cui non auspicavo di partecipare, ma solo di vincere. A tutti i costi. La giovane oncologa della struttura mi disse che il tumore era già molto grande, circa 6 cm, e di prepararmi perché, sicuramente, mi avrebbero operato subito, e mi indirizzò in giornata stessa all’ospedale del capoluogo. Accusai il colpo, ma giunsi anche lì decisa e determinata. Mi prescrissero tutta una serie di accertamenti che pareva quasi non finissero mai: dopo la BIOPSIA che confermò la malignità, seguirono così come da protocollo, la SCINTIGRAFIA, le LASTRE, la TAC, l’ECOGRAFIA e la RISONANZA MAMMARIA, e poi infine doveva andare tutto in commissione. Dai primi di giugno gli accertamenti si protrassero fino a dopo Ferragosto. Questa cosa mi faceva paura, i giorni scorrevano e io mi rendevo conto che nel mio corpo, privo di terapia, il male stava avanzando.

Ricordo ancora il giorno in cui arrivai a conclusione dell’ultimo accertamento previsto, e, dopo le due settimane stabilite per la presa in carico, dopo che si sarebbe riunita la commissione multi disciplinare per discutere il caso, quel giorno avrebbero dovuto fissarmi il mio primo ciclo di chemioterapia. In realtà quando hai una malattia così grave, anche se ti spaventa, la prima cosa che desideri fare è iniziare le cure, perché sai bene che prima si inizia, maggiori sono le possibilità di limitare il danno. Arrivai lì spaventata, però allo stesso tempo, pronta a iniziare quel percorso. Ma le mie speranze si tramutarono presto in PROFONDA DELUSIONE E SCONCERTO. Quando mi sedetti, la dottoressa sbrigativamente e senza neanche guardarmi negli occhi, mi disse semplicemente che era necessario fare una PET, la RISONANZA, la TAC non erano sufficienti.

Mi cadde il mondo addosso. Erano passati più di 15 giorni dalla consegna dell’ultimo referto. Chiesi, con voce tremante e flebile, per quale motivo non ero stata avvisata prima, vista la gravità della situazione, sarei riuscita a fare l’esame prima del colloquio, se mi fossi attivata subito, ma lei con mia grande sorpresa e sbigottimento, sollevò lo sguardo stizzita e mi disse "Perché, lei chi è? Io non la conosco! Lei non mi rappresenta nessuno!". Io rimasi di sasso. Non la conosco? Chi è? Certo che non mi conosceva, era la prima volta che mi incontrava e non conosceva nè me, nè nessuno che io potessi conoscere. Ero solo una paziente, ma una paziente spaventata da quel macigno che le era appena crollato addosso, che di referto in referto assumeva contorni sempre più minacciosi. Determinata sì, pronta a tutto sì, ma NON A ESSERE CONSIDERATA UN NUMERO.

"Ascolti, si sieda lì e mi faccia vedere", mi apostrofò "Oh, ma lei ha il capezzolo retratto". Non aveva neanche letto la cartella clinica, non aveva neanche chiara l’entità della lesione. La ragazza seduta in quella stanza per lei era solo un numero, una delle tante, non una persona, e io invece seduta davanti a lei, ero una persona che aveva sempre rifiutato, in ogni ambito, l’omologazione delle persone, ridotte a semplici numeri. Mi rattrista raccontare quest’episodio: non c’è in me alcun tipo d’ostilità, o desiderio di recriminazione. Posso solo immaginare quale sia stata la mole di lavoro arretrata che il sistema sanitario, e tutti i suoi operatori, si sono trovati ad affrontare dopo il lockdown del 2020. Questa quantità di diagnosi tardive da gestire, nel migliore dei modi, il Covid, le critiche, il malcontento, il superlavoro, la carenza di personale, e la paura hanno contribuito a creare un clima di stanchezza e pesantezza: non mi aspettavo un trattamento di favore, ho atteso tutto il tempo che mi è stato chiesto di attendere, ma mi aspettavo sicuramente un po' di UMANITA’, quella che purtroppo da lei non ho avuto.

Io non ero e NON SONO UN NUMERO, ma ero una ragazza di 43 anni appena compiuti, una mamma, una figlia, una moglie, una donna che stava affrontando il più difficile dei dolori, cercando di metabolizzarlo, un essere umano con la sua FRAGILITA’ E SENSIBILITA’. Io, come tante altre, o tanti atri, che al di là di una diagnosi veritiera e realistica, hanno bisogno di un SORRISO E UNA MANO TESA per poter superare il primo grande scoglio: quello della PAURA. E poi …sono stata indirizzata in un altro ospedale, laddove quando alla dottoressa, poco più giovane di me, ho detto che VOLEVO VIVERE e che le cure non mi spaventavano, che avrei fatto qualunque cosa pur di guarire, dopo avermi spiegato con pazienza e precisione quale era la mia condizione, senza omettere nulla, con sguardo fisso e fermo e con due occhi che pareva sorridessero al posto della sua bocca, coperta dalla mascherina, mi disse "Certo, lei è giovanissima. Faremo di tutto per permetterle di continuare a crescere sua figlia!".

Pensate che lei potesse farmi, o mantenere quella promessa? Ovviamente non poteva. Nessuna delle due poteva farlo, ma mentre la prima mi ha liquidato, fredda e glaciale, quasi scocciata dalla mia semplice domanda, la seconda ha RINFORZATO LA MIA MOTIVAZIONE. Talvolta, LE PAROLE POSSONO FARE MIRACOLI. Il mio quadro clinico era identico in entrambi i casi, ma la prima mi ha fatto piombare in uno stato di rassegnazione e di scoramento, la seconda mi ha restituito la SPERANZA, ha soffiato vento sulle mie vele, e mi ha aiutato ad aggrapparmi con le unghie e con i denti alla mia FORTE CONVINZIONE e DETERMINAZIONE, al mio AMORE PER LA VITA.

Non si tratta di creare FALSE ILLUSIONI, MA DI ALIMENTARE SPERANZA…e di medici così se ne trovano tanti, e sono felice di poter dire che seppur l’inizio sia stato claudicante, in questo mio viaggio chiamato malattia, di SEMINATORI DI SPERANZA ne ho conosciuti tanti. E non solo medici, ma anche persone che ho conosciuto strada facendo, proprio come tutte le ragazze di MAI PIU’ SOLE, che ho conosciuto da poco tempo, ma che ti travolgono subito con la loro ondata di allegria e solidarietà profusa. Sempre attive, sempre accese: donne che hanno vissuto e convissuto direttamente o indirettamente con la malattia, ognuna diversa, ognuna con la sua storia unica e personale, che, CONDIVIDENDOLA arricchiscono e sgravano quella delle altre, spogliandola di quella inevitabile SENSAZIONE DI SOLITUDINE che, in taluni casi, e in alcuni momenti percepisci dentro di te.

Ho sempre pensato che la COMUNICAZIONE chiara e diretta, sia alla base di ogni rapporto umano che cerchi di andare al di là del proprio pensiero individuale, perché è allo stesso tempo alla base dell’INCONTRO e del CONFRONTO reciproco. L’UMANITA’ e l’EMPATIA sono doti necessarie per poter accompagnare e motivare una persona a REAGIRE piuttosto che a SOCCOMBERE al dolore. Le persone hanno bisogno di una FORTE MOTIVAZIONE, che alimenti il loro coraggio e la loro speranza, e si sa, ci sono persone che già partono fortemente motivate, ma ce ne sono anche altre che sentono tutto con il cuore e guardano con l’anima, e che hanno bisogno così come i bambini, che qualcuno li chiami da una parte e mostri loro un pugno chiuso che aprendosi s’illumini di polvere di stelle per poter imparare a VOLARE, e continuare a SOGNARE.