La consapevolezza

La consapevolezza

  • di Redazione
  • 3 Dicembre 2018
  • I Mille Colori di Fausta

Ritorna il lunedì dedicato alla rubrica "I mille colori di Fausta" curata dalla nostra amica Fausta Giorgia Mascia che ci regala un altro profondo racconto

"Se sei consapevole non puoi essere felice". Ho sentito tante volte questa frase soprattutto quando, in sala d'attesa nelle giornate di day-hospital, capita di scambiare le proprie esperienze con gli altri: ascoltare il dolore degli amici che come me affrontano la "chemio", importa immedesimarsi nel loro vissuto ed è facile concordare pienamente sul fatto che la felicità è pochi, lunghi momenti! La manina di un bimbo che ti accarezza, l'amore che fai e che dai, un dono aspettato da tempo, rendere felice chi ami, ma poi … tutto passa e quando arriva il dolore e la paura si sente un gran senso di smarrimento.

Era sera, fuori picchiava un vento furioso, scuoteva le porte, si infiltrava negli spifferi, spazzava cartacce e sbatteva oggetti contro i muri delle case. Aveva iniziato a soffiare rabbioso da metà mattina.

Noi sardi conosciamo bene la rabbia sopita del maestrale e la sua forza devastatrice ma lo amiamo ugualmente forse perché spazza lo smog, ci consola nella calura e ci regala inverni nordici (si fa per dire!) o almeno echi di quelli di cui si sente parlare alla TV.

Questo maestrale appunto mugghiava forte fuori. In casa, invece, un bel tepore e lampade a luci soffuse creavano zone di intensa intimità lontane dal ricordo delle luci fredde dell'ospedale. Seduta sul divano, avvolta in un morbido plaid, mi coccolavo leggendo un bel libro: non avevo sonno (in verità mi capita sempre più spesso di non riuscire ad addormentarmi) e così mi alzai per prepararmi una camomilla. Cercai di fare il più piano possibile per non svegliare mio marito Carlo: di notti insonni, piene di dolore ne avevamo passate già tante (quasi due anni) era pertanto mio desiderio che il mio amore riposasse in serenità.

Quanta disperazione il mio star male ha creato nei miei figli e in mio marito: ricordo con chiarezza i loro occhi lucidi quando venivano a trovarmi in ospedale e le loro improbabili giustificazioni.

Seduta sola con la mia tazza di camomilla in compagnia del vento che ruggiva intorno ricordai tutto il dolore che avevo passato e che sicuramente i miei cari avevano assorbito standomi vicino. Ci sono stati momenti nei quali non credevo di poter superare tanta amarezza. Le emozioni che ho vissuto sono difficili da descrivere:  sentivo tanta rabbia o forse, meglio, un senso di impotenza e spesso, per il solo fine di non turbare ulteriormente i miei cari, ho nascosto le lacrime.

È facile immaginare quello che vivono i miei figli perché anch'io, tanti anni fa, ho dovuto affrontare la malattia di mio padre a cui è seguita la morte. I genitori hanno sempre un ruolo importante per i figli ed io ho un ricordo molto positivo di entrambi. Quando i medici mi spiegarono la malattia di mio padre provai una grande sofferenza perché sapevo quanto mio padre amasse la vita e soprattutto quanto ci tenesse alla sua autonomia e libertà. Quando giunse la sua morte mia madre, come al solito, affrontò il dolore con un pianto silenzioso, oserei dire discreto, mentre io, incredula, non potei evitare le lacrime e i gemiti di dolore; avevamo pianto insieme, ciascuna nel suo modo di essere, poi c'eravamo ricomposte per affrontare sorelle, figli, nipoti. Avevamo condiviso un pianto segreto, un dolore che strazia ed eravamo pronte per consolare la famiglia ma nell’intimo vivevamo un senso di vuoto. Tutt'oggi mi capita di piangere in segreto soprattutto quando compare la paura per il futuro.

Mio marito assomiglia molto a mia madre: tende a non manifestare il dolore ma il suo silenzio, a volte, parla molto di più delle parole.

Molto più tardi entrai in camera da letto, mi infilai sotto il piumone e mi strinsi contro il mio uomo "ti amo" sussurrai pianissimo pensando che dormisse "ti amo anch'io moltissimo" rispose calmo poi mi strinse forte a sé ed io capii che dovevo dire forse qualcosa. Riportai alla sua memoria la canzone di un disco che lui mi aveva regalato durante il fidanzamento nella quale si diceva "ti ho inventata io sei la mia fantasia" e in quel momento realizzammo che la consapevolezza non è altro che una scelta: ogni cosa, ogni avvenimento ti guida a cercare la tua felicità, la quale non passa, si trasforma ed allora ogni giorno dobbiamo creare un dialogo interiore positivo che ci porta a soffermarci su quello che desideriamo realmente. Esiste sempre, dopo il pianto quell’arcobaleno nascosto, nella nostra anima, che suggella un patto di amicizia eterna tra noi e Dio che mai potrà venire meno perché eterna è la sua misericordia e il suo amore per noi".