L'incubo

  • di Redazione
  • 17 Settembre 2018
  • I Mille Colori di Fausta

Arriva il lunedì, il giorno dedicato alla rubrica di Fausta Giorgia Mascia che ci regala un profondo racconto

Sogno. È una chiara notte senza vento: c'è un laghetto con intorno una piccola recinzione. Il laghetto luccica di rosa per i fenicotteri che stanno su una zampa sola sul bagnasciuga. Forse sono a Cagliari. Vedo e non sento niente. Vicino a me un cespuglio, piccola porta di una spaurente selva. Mi chino ed entro. Vecchi alberi tolgono la vista del cielo con i loro spessi rami intrecciati e, le maestose ombre dei tronchi, nascondono il sentiero che prima mi pareva una "via nelle tenebre". Il primo raggio di Luna, che riesce a penetrare il fitto intreccio di rami di Lecci secolari, illumina una sagoma: è un assassino furtivo dai motivi turpi. Riconosco i suoi occhi: freddi, indifferenti, sadici. E’ l’ Intruso che mi osserva. Vacillo. So che lui mi vuole al buio, vuole che abbia paura, pretende che io mi arrenda alla sua volontà. Sta fermo, privo di anima, io invece mi muovo piano, quasi fluttuando, sono come il vento che lentamente piega la natura al suo volere, con la sua impalpabile costanza. Poi urlo "Vattene, vattene via!" Mi sveglio: sono stordita, mi sento ancora parte del sogno, sono sudata, odoro di paura. La lampadina sul comodino mi pare quasi una torcia, la mia camera un anfratto …  Fatico a prendere coscienza di essere sveglia. E’ come se l’ Intruso, per avermi sotto controllo, mi volesse tenere nell'incubo; si comporta come uno stalker narcisita: vuole che sappia che lui c’è, si nutre delle mie paure!

Mi siedo sul letto, accendo la luce che subito illumina la stanza, permettendomi di riconoscere un ambiente caro, sicuro, accogliente. Mi lascio confortare dai suoi confini noti, dal colore della tappezzeria, dalle tende morbide …  Abbraccio il soffice piumone, respiro. È accaduto ancora: ho avuto un incubo. Ma ora sono sveglia, nella realtà della mia stanza. Avverto la solita sensazione di impotenza e poiché sono sola, piango …  Piango per il sogno, piango per la mia realtà attuale tutta da combattere, pensata con un futuro incerto …

Mi alzo con cautela e apro la porta finestra. Il Sole è ancora coperto e i profumi leggeri delle erbette aromatiche, del mio "orto sul balcone", si diffondono nell’aria. Siamo a Settembre e fa ancora molto caldo. Entra mio marito: "Che hai? Ti senti poco bene?" mi domanda. "Ho avuto un incubo ed ora ho paura di quello che ancora dovrò affrontare" rispondo. "Provo quello che provi tu, lo so" mi dice, avvicinandosi e abbracciandomi forte. Avvolta nell’abbraccio penso "È strano, questo Intruso talvolta, lo dimentico poi ritorna prepotente. Deve essere perché attendo che "il caso" si risolva:  ancora non è risolto del tutto. È umano, quello che provo" mi dico. Do un bacio a mio marito e vado in bagno per una doccia veloce . "In dispensa ho dei pomodori maturi, farina, olio buono in più il basilico profumato del mio vaso sul balcone"penso mentre mi vesto. Pochi minuti dopo verso sul tavolo ben pulito, tanta farina bianca con lievito, aggiungo acqua quanto basta, un goccio d’olio e infilo le mani, quasi voluttuosamente, nella farina bagnata. Mi metto a impastare con lena con la radio accesa che canta l'ultimo successo di Loredana Bertè. Dopo mezz'ora una bella palla di farina morbida viene messa in una ciotola coperta con un panno e lasciata lievitare. Farò una gigantesca "prazzira", col pomodoro fresco, il basilico, l'aglio e l’olio; chiamerò i miei ragazzi perché vengano a mangiarla (ne vanno pazzi!). Riordino sentendo il profumo della pasta che lievita.

Nella cultura induista la preparazione del cibo è un atto talmente importante che viene effettuata perfino dalle stesse divinità, credo che dipenda dal fatto che oltre la funzione "sociale" il fare piccole cose riporti nel "qui ed ora": sto guardando un bel Sole che filtra oltre i vetri, sono qui, con tutti i miei sogni, con tutte le mie paure, ma sono io. Oggi sono così e mi voglio bene così come sono, perché il mio essere di oggi è il traguardo di tante prove che ho potuto superare grazie anche al fatto che in me vivono diverse "dee"( come dice il dr Morelli, nei suoi libri): paura, forza, gioia, tristezza, ombre e luci, forze ancestrali ma pur sempre "forze". Dopotutto si dice che le prove più ardue siano per le anime più forti. Coloro che combattono un tumore possono essere definiti come guerrieri dell’ "incorporeo", militari che combattono nel campo dell’esistenza con le armi dello spirito: non spade, non fucili ma pazienza, fede, tenacia, per sgretolare l’Intruso, per aprirsi una breccia oltre la quale li aspetta altro tempo, altra vita, che verrà regalata perché hanno creduto nel miracolo, nell'amore.

Animo ragazze! Un altro giorno da vivere con grinta, consapevolezza e sana spensieratezza, quella spensieratezza che forse, venuta meno negli anni, si è trasformata in malattia ... Fidiamoci di quella parte divina che abita in noi e che ci ha guidato sino adesso: il destino diventerà luminoso perché il segreto della vita è nascosto in noi.

Ecco sento dei passi al piano di sotto, voci, portiere che sbattono, il treno che sferraglia. Suona il campanello. È la vita, la vita che ci sta chiamando. Andiamo ad aprirle la porta …

Vi voglio bene…