Malasanità Sardegna: operata per un tumore dopo aver passato 5 mesi tra diagnosi errate e interventi approssimativi

Malasanità Sardegna: operata per un tumore dopo aver passato 5 mesi tra diagnosi errate e interventi approssimativi

  • di Redazione
  • 21 Settembre 2017
  • Sardegna

La denuncia di Maria

Lo staff di Mai Più Sole è stato contattato da una paziente che vuole rimanere anonima, ma che noi chiameremo Maria, che ha deciso di divulgare le notizie sul caso di malasanità della quale è rimasta vittima e che coinvolge il sistema sanitario isolano, in particolare un grande Centro Ospedaliero come l’Ospedale Brotzu di Cagliari.

Maria, senza nascondere il dolore e la delusione provati all’inizio del suo percorso da paziente costellato da diagnosi errate, approssimazione, interessi subdoli, notizie incomplete, terapie inconsistenti e personale poco professionale ha voluto raccontare la sua storia, quella condivisa da tante altre donne che però non denunciano l’accaduto per paura di possibili ritorsioni.

Tutto è iniziato il 10 settembre del 2015 quando, a seguito di evidenti e costanti emorragie, sono andata con urgenza a farmi visitare nel reparto di ginecologia  dell’Ospedale Brotzu con un foglio d’urgenza. Avevo delle perdite di sangue anomale e copiose, quindi preoccupata e spaventata, speravo di trovare conforto e soluzioni dai medici.

Subito dopo la visita mi hanno comunicato che avrebbero dovuto ricoverarmi. Non capivo come mai ci fosse tanta urgenza e ingenuamente chiesi al ginecologo la cortesia di poter andare a casa per raccogliere le mie cose e prepararmi al ricovero.

Senza informarmi delle mie condizioni il ginecologo mi fece firmare un foglio, che poi ho scoperto essere di dimissioni volontarie, che giustificavano il mancato ricovero. Si limitò a dirmi: "Venga domani mattina alle 7.30 perché qui c’è un appunto che certifica che lei deve essere ricoverata".

Il giorno successivo mi sono recata nuovamente al reparto di ginecologia dell’Ospedale Brotzu e ho trovato una ginecologa che, per prima cosa, ha pensato bene di prendersela con il collega del giorno precedente, trattandolo da ignorante e accusandolo di non conoscere correttamente le procedure. Infatti, secondo lei, non era stato in grado di gestire al meglio la situazione in quanto il mio problema riguardava un semplice polipo che quindi non necessitava il ricovero urgente.

Mi ha comunicato che mi avrebbe messo in lista d’attesa e mi avrebbe fatto eseguire tutte le visite di routine per un eventuale ricovero. Sono andata avanti così per un mese, facendo continue visite, prelievi e vari controlli. Tutte le diagnosi confermavano che si trattava di un polipo, anche se qualcuno disse che era una piovra tanto era esteso.

Finalmente, sempre più spossata a causa delle costanti emorragie e stanca di quelle continue visite, tramite una mia conoscenza il 16 ottobre del 2015 sono riuscita a farmi ricoverare. La risposta dei medici davanti alla mia richiesta di ricovero era un secco NO in quanto avevano problemi con le sale operatorie e avevano una lista d’attesa lunghissima: stavano infatti ancora contattando le persone che attendevano dal mese di aprile.

Io continuavo ad avere delle grosse emorragie, ero un fantasma ed ero talmente preoccupata in quanto era passato più di un mese e temevo che fossero scadute anche le analisi. Mi è stato risposto di non preoccuparmi e che eventualmente le analisi sarebbero state ripetute, cosa che invece non è accaduta.

Il giorno del ricovero sono stata operata e nel foglio di dimissioni è comparsa la diagnosi "Neoformazione endocvitaria uterina" che non corrispondeva al motivo del ricovero che infatti riportava "voluminoso polipo endometriale, percorso clinico regolare, intervento di isteroscopia operativa più biopsia endometriale".

Sono stata dimessa in giornata dopo aver subito un trattamento post-operatorio a dir poco disumano. Ho atteso per ore, ma invano, che il medico venisse a visitarmi, a spiegarmi cos’era successo. Credevo che durante l‘operazione mi avessero rimosso il polipo e che ora mi aspettasse solo il normale decorso post-operatorio invece avevano semplicemente eseguito una biopsia, anche se lo ho scoperto dopo.

Ricordo che quando ho alzato il lenzuolo mi sono sentita male alla vista di tanto sangue, ero completamente sporca e appiccicosa come fossi un maiale sgozzato, ho chiesto all’infermiera se poteva pulirmi ma nessuno mi ha aiutato. Mi hanno risposto che era normale ci fosse del sangue.

Alla fine sono riuscita a ottenere degli asciugamani, mi sono alzata dal letto da sola e sono andata a lavarmi in bagno. Visto che avevo sporcato i sanitari e la stanza mi sono sentita in obbligo di ripulire tutto nonostante avessi appena subito un intervento. Sentivo dei dolori fortissimi e la sensazione di abbandono stava cominciando a farsi sentire fino a quando un’infermiera mi ha detto che non avevo subito l’operazione che credevo ma solo la biopsia. Me lo ha detto l’infermiera e non il medico che mi ha operato che non ho mai visto durante il ricovero e nemmeno prima delle dimissioni.

Il 28 di ottobre del 2015 ho ritirato l’esito della biopsia che diceva che avevano trovato un "abbondante materiale endometriale con adenocarcinoma", non più un polipo. La diagnosi era quella di "Adenocarcinoma con diffusi aspetti papillari, ampie arie solide e necrosi grado terzo".

A quel punto mi hanno chiamato per avvisarmi che avrebbero dovuto eseguire una risonanza che alla fine è avvenuta il 6 novembre 2015. Dopo la risonanza i medici mi hanno confermato la diagnosi certificando la presenza di una massa voluminosa per 3x2 cm.

Nella preoccupazione generale ci si sente in balia dei consigli di chi consideriamo più esperto di noi. Per cui mi sono sentita di assecondare il ginecologo quando mi disse con fermezza: "Signora, se lei fosse mia mamma, mia sorella o mia zia le consiglierei di andare all’Ospedale Regina Elena di Roma. Lì c’è l’ex Primario di Cagliari molto bravo che le salverà la vita".

Mi convinco quindi ad andare all’ospedale "Regina Elena" di Roma. Lì mi avrebbero fatto una bella pulizia di utero, annessi parametri e vagina, ovaio destro e sinistro. E invece, il 15 dicembre 2015, sono stata operata anche se i medici hanno eseguito un semplice svuotamento. Al rientro a Cagliari sono tornata da quel ginecologo che mi aveva convinto a partire e mi ha detto: "Questo lo avrei potuto fare anche io".  "E questo l’ho pensato anche io", gli ho risposto.

Dopo avermi visitata si sono resi conto che avevo tutti i linfonodi ingrossati e in condizioni disastrose. Nel mentre, il 7 gennaio 2016, era arrivato anche il referto della biopsia di Roma che confermava il tumore all’endometrio di 5,5 cm che da 3,5 cm era cresciuto di 2 cm.

A questo punto, a fine gennaio sono stata mandata finalmente all’Ospedale Oncologico Businco di Cagliari dove avrebbero cercato di salvare il salvabile in quanto purtroppo c’era una recidiva. Il 15 febbraio 2016 sono stata operata da un grande luminare, il Dottor Macciò, che mi ha fatto capire immediatamente di essere in buone mani. Quello che mi fa rabbia ora è sapere di aver passato cinque mesi a vagare nel buio e a perdere del tempo prezioso in viaggi inutili e diagnosi inesatte quando c’era dietro l’angolo chi poteva intervenire subito con grande professionalità e competenza.

Dopo questo intervento il 23 marzo del 2016 ho cominciato i cicli di chemioterapia, circa una quindicina, che mi hanno permesso di intraprendere il percorso riabilitativo avendo finalmente la certezza di essere in buone mani. Ogni due o tre mesi interrompo i cicli per fare nuove analisi e le PET, svolgendo una vita scandita dall’andirivieni negli ospedali, attaccata alle sacche di sangue per cercare di riprendermi e con attacchi costanti di dissenteria.

L’ultimo inconveniente, chiamiamolo inconveniente, risale a poco tempo fa. Dopo essermi recata in ospedale, di primo mattino, per eseguire la PET sono dovuta rientrare a casa insieme ad altri pazienti senza svolgere alcun esame perché l’Ospedale Brotzu non aveva ancora messo a disposizione il liquido di contrasto. Quindi la mia analisi è stata rinviata non al giorno successivo, perché c’erano già altri appuntamenti fissati, ma é slittata di una settimana. Un incredibile disservizio! Passata una settimana non ho potuto fare la Pet che è stata rinviata ancora al giorno successivo. Ma mi sono dovuta arrabbiare e ho dovuto  dare una bella strigliata altrimenti non so quando l’avrei fatta. Inizialmente mi avevano risposto "Le faremo la Pet in data da destinarsi… "

Un nuovo intoppo nella mia infinita battaglia nella quale ancora non mi arrendo, una situazione che va assolutamente denunciata affinché altre donne non patiscano il mio dolore, la mia disperazione nel sentirmi sola e mal consigliata, nel sentirmi vittima di una mala sanità che guarda più a fattori economici e di convenienza invece di salvaguardare prima di tutto la salute dei suoi pazienti.