Sono davvero una guerriera?

Sono davvero una guerriera?

  • di Redazione
  • 19 Febbraio 2019
  • Rita, poesie e non solo

Continuano le avventure di Rita Meleddu. Ecco un nuovo racconto per la rubrica "Rita, poesie e non solo"

Il malato di cancro viene spesso definito "guerriero", quasi che chi si ammala venga spedito o voglia andare a combattere suo malgrado in un campo di combattimento.  Recentemente un'associazione inglese ha realizzato un'indagine su come i malati percepiscono il cancro. Comunemente vengono usate immagini di guerra per rappresentare i malati e la battaglia intrapresa. Quindi appunto fioccano le parole come battaglia, guerra, combattimento, caduti,  eroi, vittime, guerrieri ecc.
Questa indagine ha interessato duemila malati di cancro, la maggior parte dei quali,  intervistati,  ha dichiarato di non essere d'accordo con la terminologia militare spesso usata per descrivere malati e malattia. Soprattutto di quel senso di inadeguatezza o quasi colpevolezza che sembra circondare chi muore e dunque "perde la battaglia" . Vincere una battaglia presuppone una strategia, uno studio, una preparazione un affilare le armi appunto.  Vuoi vedere che chi muore non si è impegnato abbastanza? Chi riceve una diagnosi di cancro, siccome ancora non sa che col cancro si può convivere (all'inizio vede tutto nero, e si ha quasi la certezza che cancro equivale a morte), piomba in uno stato di prostrazione, confusione, debolezza fisica e mentale e tutti a dirgli: "Forza, coraggio; ce la devi fare, tira fuori le armi, sei un guerriero!" Naturalmente è giusto incitare, sostenere, dare coraggio ma spesso la persona malata che inizia un percorso di cura tutto si sente fuorché un guerriero.  È più verosimile che si senta una cacca e pure sfigata. Altro che intraprendere sfide che sottintendono una possibilità di vittoria, qui si tratta di salvarsi la pelle e il nemico (altro termine bellico) non è un nemico qualsiasi.  Purtroppo il cancro ha mille sfaccettature, senza entrare in descrizioni noiose e dettagliate, basta dire che non c'è cura per tutti i tipi di cancro, di cancro dunque ancora si muore e non è colpa di nessuno, tantomeno della persona coinvolta. "Eh, ma la tale con un cancro al seno è ancora viva, e ma quella non la freghi, si dà da fare, le cerca tutte!"

Ed ecco quindi che chi non cerca perde! No, non funziona così, non una partita a scacchi nella quale bisogna ragionare anche ore prima di fare una mossa, eh no, qui non ci sono ne' regine, ne' cavalli da muovere su una scacchiera.  Qui c'è una persona che sta male, che combatte (altra parola fortemente usata), ma che può vivere o morire, stop, così è la vita. Si può morire per un cancro ma anche per una broncopolmonite, ma nessuno dirà mai di un morto per broncopolmonite: "non si è impegnato abbastanza, alla fine si è lasciato andare..." eppure anche questa persona solo per il fatto che è morta, bene bene non deve essere stata. Ma noi parliamo spesso senza manco accorgercene per metafore e così cataloghiamo anche le malattie. Ma il titolo del mio racconto è "Ma sono davvero una guerriera?" E allora dirò come la penso io. 
Talvolta mi sento una guerriera, talvolta no, mi sono trovata in una situazione non voluta e cerco di venirne fuori. Vengo sovente (e questo mi aiuta) invitata a non mollare, a battermi strenuamente per venirne fuori. Io annaspo come chi  trovandosi gettato in mare senza saper nuotare, fa di tutto per non annegare.  Vivo la mia vita cercando di soggiogare la malattia, ma è una battaglia impari.  In questi anni ho avuto molte armi affilate a disposizione, la chemio,  la terapia ormonale, la crioablazione, la radioterapia, l' ipertermia, il trattamento cyberknife, ecc. Eppure tutte queste armi non sono state capaci di arrestare l'avanzare della malattia.  Lo hanno rallentato, frenato, ma non fermato, anzi lei (la malattia) se n'è sbattuta i cosiddetti  o  i cabasisi come dice il commissario Montalbano  e continua imperterrita per la sua strada, spazzando via come birilli tutti gli ostacoli che io le paro davanti. Eccerto, lei è più forte di tutte le armi messe insieme, e lo dimostra giorno per giorno. Avanza come un panzer distruggendo automaticamente le mie resistenze.  Però poverina non sa che io per ora tanto per usare un altro termine militaresco "non alzo bandiera bianca", non ancora perlomeno e spero di non farlo mai. La speranza mi accompagnerà sempre,  e dove non potranno più le cure potrà la mia fiducia. In tutto questo avanzare della malattia mi batto però ponendo grinta e spendendo energia, ma ripeto, combatto una guerra non cercata.  Non l'ho scelta io, mi è stata imposta. Non è che un giorno mi sono svegliata e mi sono presentata al cancro dicendo: "Signor cancro, da oggi  visto che sono una persona audace, temeraria, coraggiosa e diciamolo pure "scellerata", ho deciso di combattere con lei, ma non nel senso di allearmi con lei ma di combattere contro di lei, e di vincere la mia guerra.  Io l'ho avvisata!" A questo punto mi pare di sentire la risposta del cancro dall'alto della s ua superbia e supponenza: "Ma mi faccia il piacere!!!" Ho preso a prestito le parole di Totò perché rendono l'idea. 
Purtroppo nel mio caso non è andata così.  Un giorno qualunque mi sono svegliata e mi sono trovata malata, e pure molto e da quel giorno la mia vita è cambiata.  Stop, fine della storia.  Quando la battaglia (tanto per stare in tema) si fa dura e non so dove sbattere la testa (altro che eroe) mi sento tanto come i famosi ragazzi del'99, ossia quei diciottenni all'epoca, che durante la prima guerra mondiale furono mandati, oserei dire gettati, al fronte per contrastare l'avanzata degli austriaci. Questi ragazzi provenienti da tutte le parti d'Italia erano in maggioranza analfabeti (il tasso d'analfabetismo all'epoca era del 40%), parlavano solo il loro dialetto, morirono in molti, battendosi con ardore per difendere la nostra bella Patria, ma sono sicura che se avessero avuto possibilità di scelta, alla domanda: "vuoi andare a combattere al fronte?" , la maggior parte di essi avrebbe detto di no o forse si,  chi lo sa, ma avrebbero deciso loro consapevolmente non gli altri. Ecco, noi malati di cancro siamo un po' così, vittime involontarie di una guerra non voluta, ne' scelta. Non voglio essere martire, ne' eroe di niente, voglio solo vivere dignitosamente e degnamente la mia vita o quel che rimane.  Però un giorno Dottor Macciò mi ha definito "una grande guerriera" con tanto di immagine a rappresentarmi, e lo ringrazio di questo, evidentemente appaio così, ma poiché io stessa ho raccontato che prima di fare le visite e gli esami, entro nei bagni dell'ospedale facendo per caricarmi la danza dei guerrieri Maori (perlomeno ci provo), allora e forse un po' guerriera lo sono davvero!