Si può fare di piu?

Si può fare di piu?

  • di Redazione
  • 19 Marzo 2019
  • Rita, poesie e non solo

Continuano le avventure di Rita Meleddu. Ecco un nuovo racconto per la rubrica "Rita, poesie e non solo"

Credo che non esista un ospedale con un organizzazione perfetta, vero è che alcuni più di altri ce l'hanno. Chi mi segue sa quanto io ami il mio ospedale, nella mia lunga convivenza con la malattia ho avuto modo di frequentare altri Centri fuori dalla Sardegna e notare alcune differenze. Non mi soffermerò a elencare cosa è  meglio o peggio ma a cosa si può migliorare secondo me. 
Ripeto, amo il mio ospedale e non mi sono mai voluta spostare, perché a Cagliari all'Oncologico ho trovato quello che cercavo: accoglienza e cure. Sono stata seguita per quasi 9 anni dalla dottoressa Valle che ringrazierò finché vivo.  Se sono viva, scusate il gioco di parole, lo devo a lei, ha sempre trovato la soluzione giusta al momento giusto.  Sono partita con una situazione già molto complicata, la dottoressa ha fatto tutte le mosse giuste, comprese chemio e radio, mi ha sempre consigliata per il meglio e non mi ha fatto mai fare esami inutili e invasivi se non servivano.  Anche quando scalpitavo per fare una tac, poteva succedere che lei non fosse d'accordo, per vari motivi, non ultimo il fatto che fosse dannosa o perché in quel momento non ci sarebbe stata di nessuna utilità,  magari  la spostava nel tempo e il suo modo di lavorare si rivelava sempre quello giusto e le dava ragione. Andata in pensione la mia dottoressa sono stata affidata a una giovane oncologa molto preparata e mi sa che anche lei per il momento no ne ha sbagliato una, anzi l' ultimo cambio di chemio mi ha rimesso in carreggiata, visto come stavo, se continua così non posso esserne che contenta. Come detto nulla da dire sugli operatori del mio ospedale, in 10 anni di cure non c'è stata una sola volta in cui sia stata rimandata a casa senza fare una visita o le mie terapie. Certe volte ho aspettato ma mai sono andata via senza aver fatto ciò per cui mi trovavo lì. Non parlo neanche dei ritardi nella somministrazione delle chemio perché ci sono tempi tecnici da rispettare.

Si capisce bene che se faccio il prelievo del sangue alle 7:15 facciamo il caso, l'esito arriva intorno alle 9:00 più o meno, l'oncologa deve dare l'ok e preparare lo schema , ci vuole il tempo affinché la farmacia prepari l'infusione e il tempo passa. L'ultima volta ho iniziato la chemio prima delle 10:30, come si può notare, un tempo molto buono. Qualche volta ho dovuto aspettare di piu, pazienza! Bisogna considerare il gran numero di pazienti che ogni giorno devono affrontare una chemio. Per fare tutte le cose ci vuole il tempo materiale.  Ma mi premeva di piu parlare di quando il paziente arriva la prima volta in ospedale. Naturalmente ci arriva con una grande paura perché purtroppo il nome "Oncologico" fa ancora paura e non dovrebbe perché è un luogo dove si cura e non si muore. O meglio si può anche morire, ma credo che la maggior parte delle persone che ci entrano malate,  sopravviva a una malattia  così grave. Dicevo che il paziente la primissima volta arriva con paura e ansia, non sa cosa lo aspetta e non sa come muoversi. Per fortuna da noi ci sono le volontarie ma anche gli operatori  che aiutano i pazienti a districarsi le prime volte. A me ora sembra tutto facile ma vi assicuro che anche io i primi giorni mi aggiravo spaurita  per l'ospedale senza neanche capire bene cosa stessi facendo. Un altro punto molto critico e di cui spesso si discute: la comunicazione della diagnosi. Qui si trema!! Anche la persona più pacifica e accomodante del mondo credo che perda la testa quando le viene comunicata una  diagnosi di tumore. Crolla il mondo addosso.  Innanzitutto non ci si crede. Si pensa che si parli di un altra persona  ed è come vivere le scene di un film, pure brutto tra l'altro. L'oncologa o l'oncologo parla ma non sono tanto sicura che il paziente segua, un turbinio di sensazioni differenti  si scatenano, paura, indifferenza (non si parla di me) terrore quando si comincia a realizzare e a capire, segue quasi sempre una sensazione di morte imminente (sono spacciato), poi col passare dei giorni tutto assume la sua reale dimensione e piano piano si impara (ve lo assicuro) a convivere con la malattia.  Ma gli oncologi sono sempre preparati a comunicare una diagnosi? Non sempre.  Ci può essere il medico più amabile che cerca di trovare le parole giuste per non far sprofondare immediatamente nella disperazione la persona che si trova di fronte, ma ci può essere anche quello più diretto, quasi rude direi, che magari senza starci tanto a pensare ti dice:"lei ha un cancro, arrivederci e grazie!" Naturalmente non dirà proprio così ma credetemi le parole colpiscono come sassi e una volta dette non si possono rimangiare. Sono sicura che molte cose si dimenticano poi lungo il percorso di malattia, lungo o corto che sia, ma mai le parole usate per comunicare la diagnosi.  Colpiscono come frustate e restano impresse come un marchio a fuoco.  Ecco al momento della comunicazione della diagnosi a mio avviso dovrebbe essere presente anche una figura professionale che aiuti l'oncologo che dà la diagnosi ma soprattutto aiuti il paziente che la riceve, perché quando gli cade una tegola così inaspettata in testa non si sa a che santo votarsi, si entra immediatamente in un tunnel da cui in quel momento si crede di non poter più uscire. 

Esistono le figure professionali degli psicooncologi e degli psicologi, ecco secondo me al momento della comunicazione della diagnosi una di queste figure dovrebbe affiancare l'oncologo. Il paziente come detto sulle prime rimane incredulo e io credo che afferri ben poco di ciò che gli viene detto (se non: "lei ha un cancro") in seguito e ci vuole una persona in grado di aiutarli.  Ci sono poi i pazienti che hanno bisogno di un supporto psicologico durante tutto il percorso di cura, ed è bene che sappiano fin da subito che possono avere l'appoggio di queste figure. Ma non devono essere i pazienti a  cercarli, dovrebbero essere inclusi nel pacchetto, poi se la persona ritiene di averne bisogno bene altrimenti amici come prima. All'Oncologico è presente il servizio di psicologia gratuito, ma ben pochi ne sono a conoscenza e non è giusto. I pazienti al loro ingresso in ospedale dovrebbero ricevere oltre a diagnosi spesso ritenute magari a torto catastrofiche, una specie di prontuario su quelli che sono i loro diritti di cura e non, infatti i pazienti spesso vengono a sapere dei loro diritti (rimborso dei viaggi ad esempio) dagli altri pazienti. È vero che il modulo per aver diritto al rimborso viaggi si trova proprio all'ingresso del DH, vicino alla macchinetta che distribuisce i numeretti, ma un paziente che si trova lì la prima volta no ne sa un bel niente, anche perché in quel momento a tutto pensa fuorché al rimborso viaggi. Ma poiché i viaggi che si fanno soprattutto all' inizio dell'avventura "tumore" sono molto frequenti, alla fine incidono notevolmente sul bilancio della famiglia, in maggior modo per chi arriva a Cagliari da lontano. Visto che c'è una legge regionale che prevede il rimborso dei viaggi, è giusto sfruttarla ed è giusto che chi è interessato ne sia a conoscenza.  All'Oncologico è presente (almeno lo era) un assistente sociale che può guidare e aiutare un paziente che a lui si rivolge per districarsi tra pratiche burocratiche varie. Però le cose bisogna saperle, ma come saperle se nessuno ce le dice? Spesso si perdono diritti perché non si sa di averli. Faccio un esempio: Rimborso viaggi per ricoveri fuori regione. Qualcuno sa come ottenerlo? Sapete quanta gente ha perso il rimborso (e non sono spese piccole) perché non sapeva che il certificato redatto dallo specialista, oncologo o chi per esso, il quale dice che la tal persona si deve necessariamente fuori dalla Sardegna, perché qui quella tal cura non è disponibile, va presentato all'ufficio di pertinenza della Asl, prima della partenza per altra regione affinché si apra la pratica? Ebbene, molte persone non lo sanno. Molti lo hanno saputo una volta fatto ritorno in Sardegna e hanno perso i benefici. E si sa che per stare fuori Sardegna anche solo pochi giorni ci vogliono fior di quattrini.  Io stessa ho saputo per puro caso a 2 giorni dalla partenza che il certificato andava presentato prima. Ora appena so che qualcuno si deve recare fuori regione per delle cure glielo faccio presente. Beh, molti non sanno niente. Ma io dico: "devo essere io a informare un altro paziente per quanto mi faccia piacere dirglielo, o non deve essere piuttosto competenza di qualche altro?" Ecco, basterebbero pochi piccoli accorgimenti per rendere la vita più semplice a chi ce l'ha già abbastanza complicata.