Per chi suona la campana

Per chi suona la campana

  • di Redazione
  • 20 Novembre 2018
  • Rita, poesie e non solo

Nel martedì dedicato alla rubrica "Rita poesie e non solo" arriva il racconto della nostra magica Rita Meleddu.


Diceva il poeta inglese John Donne : "Quando suona la campana non chiederti per chi suona. La campana suona anche per te." Questa frase tratta da una poesia ha dato poi il titolo alla più grande opera di Ernest Hemingway, "Per chi suona la campana", appunto.
Abito in un paesino di circa 1300 anime e capita di sentire rintoccare le campane a morto. Si annuncia alla comunità che uno di noi è venuto a mancare. Vengono suonate persino quando muore un nostro compaesano che magari è solo nato in paese e poi ha vissuto da tutt'altra parte perché il lavoro lo ha portato altrove o per altri motivi. Persone che magari non sono mai più tornate nella città natale, però attraverso il suono delle campane per annunciarne la morte, si rende loro in qualche modo omaggio. Penso che nessuno al mondo dimentichi il paese natio. C'è chi si è abituato a vivere in altri luoghi ma c'è anche chi avrà nostalgia per tutta la vita. Nel mio paesino c'è ben poco, ma io e i miei compaesani lo amiamo. Quando le campane suonano a morto, per qualche secondo, chi le sente si ferma. Anche l' aria sembra arrestarsi, si espandono e si rincorrono i rintocchi lenti e inesorabili. Non sono i suoni gioiosi e veloci quasi a formare un tutt' uno, dei giorni delle feste solenni e liete, ma sono staccati tra di loro, lenti e persino lugubri. Mettono subito un' aria di tristezza. Don, don, don...
Così per qualche minuto. Chi ha sentito comincia a chiedersi: "Chi sarà morto?" E si fanno congetture e ipotesi. Il tale è vecchio, la tal' altra è ammalata, ma chi lo sa? La morte lenta, senza fretta ma certa, quando lo decide ruba la vita a chiunque. Non si fa di certo scrupoli. In quest'epoca moderna dove anche morire è quasi vietato perché morire vuol dire non essere perfetto, ormai bisogna essere al top in ogni campo. Guai a chi non può stare dietro a chi è più veloce, più atletico, più importante, più magro, più tutto insomma. Hai un difetto fisico, sei malato? Non puoi competere. Levati di torno.  Solo la perfezione è auspicata e osannata. Si pretende di sconfiggere persino la morte. Basta pensare al cancro. La falsa diffusa idea che non si muore più di cancro porta le persone quasi a pensare che chi soccombe ne ha colpa. Evidentemente non ha fatto di tutto per salvarsi. Purtroppo non è così. Chi si ammala di cancro può vivere a lungo, ma può anche venire a mancare. E i bambini di oggi, di questo mondo dove tutto deve essere bellezza e perfezione, come si relazionano alla morte? I più piccoli, giustamente, non hanno elementi per comprenderne il mistero, ma ai più grandicelli deve essere spiegato con parole o esempi cos' è la morte. Senza incutere paura. Molti genitori impediscono ai figli di vedere i nonni deceduti o un altro parente per non spaventarli e traumatizzarli, ma è un evento naturale, la morte è la logica conclusione di un ciclo. La vita è un ciclo.  Ha un inizio e una fine. Quando ero piccola, i nonni vivevano con figli e nipoti. Neppure si parlava di metterli in un ospizio. E quando morivano li vedevamo senza avere paura. Era naturale. Con le amichette andavamo a trovare tutti i morti. Portavamo dei fiori, che potevano essere rose o qualche garofano e tutte fiere li disponevamo intorno al defunto. I morti giacevano quasi sempre su un letto ed erano appunto contornati di fiori. Le camere che li ospitavano erano in genere piccole, non come adesso: le case (soprattutto nei paesi) hanno saloni che fanno concorrenza alla Reggia di Caserta. Le persone che si recavano a trovare il morto erano tantissime, molte portavano fiori. Questi fiori con l' odore del defunto e di tutte le persone che entravano e uscivano generavano, talvolta, un odore nauseabondo, stagnante. Di rancido. Un odore penetrante che ricordo ancora. Una volta io e le amichette andammo a trovare un nonnino. Era piccolo piccolo, tutto ricoperto di fiori, aveva le calze blu o nere. Non aveva scarpe. Da noi non era usanza portarle per l' ultimo viaggio. O forse le famiglie erano così povere che non si avevano scarpe nuove. Ma ho visto tantissimi morti da piccola e quasi nessuno portava le scarpe. Capitò che morì una bambina. Io potevo avere 8 anni, lei 9. Era malata e così se ne andò. Si chiamava Idaide. Ricordo il suo pallore, ma non mi fece impressione, anzi provai pietà per lei. Era carina. Indossava  il vestito della prima Comunione, lungo, com' era in uso negli anni '60, col velo e mi pare che Idaide avesse le scarpe bianche e anche l'orologio con le fascette bianche. Le maestre ci portarono a salutarla. Nessun genitore gridò allo scandalo per averci portato da lei. Nessun trauma, anche perché la bambina aveva un'espressione serena. Quando frequentavo le medie, morì, pare per complicazioni di un' influenza, un ragazzo di 17 anni, Walter. I professori ci portarono a dargli l' ultimo saluto. Strano, benché più grande di quando vidi Idaide, non ho un ricordo preciso. Mi pare che l'avessero messo in una camera al primo piano, ma no ne sono certa. Questo per dire che fin da piccoli eravamo messi a contatto con questa realtà. La morte fa parte della vita, se arriva tardi meglio, altrimenti si parte e anche senza fare le valigie.
Ora si può pensare che io e le amichette fossimo tristi o spaventate quando andavamo a trovare i morti. Macché!!! Noi, andavamo dietro alle donne più grandi che recitavano il rosario, ma non ci sfuggiva nulla e si assisteva a scene che scatenavano in noi grande ilarità. Capitava che il morto fosse brutto, ma brutto (non è che la morte ti faccia il lifting), e la moglie quando accoglieva le persone in visita esclamava : "Guardate, non è bello?" Al che mi veniva da dire: "Ih, una meraviglia!". Naturalmente tacevo. Si parlava per lo più il sardo. Si può immaginare. Le parole dette in dialetto rendono di più. Ricordo pure che all'epoca nei paesi c' erano delle signore che si recavano dai morti e ne decantavano le lodi.  Era una specie di piagnisteo sempre in sardo che faceva ricordare le donne delle tragedie greche, o quelle di Gerusalemme che piangevano e si battevano il petto e che Gesù incontra nell' ottava stazione della Via Crucis quando viene condotto al Golgota. Anche queste donne nostrane un po' si battevano il petto e, piangendo e parlando a mo' di una lugubre nenia, ne dicevano delle belle. Ora cosa succedeva? Si sa che i morti vanno giustamente rispettati anche per il solo fatto che non possono più parlare e difendersi. Va bene, ma uscirsene con bugie grosse quanto il mondo non era giusto. Non è leale insomma. Poteva succedere che la piagnona di turno decantasse le lodi del morto magari dicendo che era uomo retto, onesto e dedito alla famiglia. Ma capitava anche che l' uomo in questione quando era in vita, avesse cornificato la moglie tremila volte, non fosse neppure onesto e non trattasse bene manco i figli. Ora questo fatto di cui tutto il mondo era a conoscenza, in primis la vedova, provocava in noi piccole scoppi di risate e dovevamo trattenerci.
Certo non era sempre così, delle volte ciò che dicevano era vero.  Per noi bambine era in fondo anche un gioco andare a sentire e forse, anche per questo, la morte faceva meno paura. È una certezza della vita. Prima o poi accade a tutti.  Non volevo essere blasfema con le ultime frasi scritte ma ci vuole sempre un po' di leggerezza. Certe volte a mio marito dico che non voglio le scarpe per il mio ultimo viaggio. Cosa me ne faccio? Mica devo andare a ballare. Voglio partire leggiadra e perdermi nell' immenso. E poi che scarpe mettere? Tacco 12? Infradito? Scarpe da tennis? Non sia mai, sono più per l' eleganza! Scarpe col tacco a spillo? Stivali? Dopo sci? Aiuto!!! Mah, qualcuno ci penserà! Se vorrò le scarpe lo dirò!! Per l' abito  uguale. Sobrietà. Ho visto certi morti..
Mio marito ama i colori vivaci e forti mischiati tra loro. Mamma mia. Ci pensi qualcuno.  Non vorrei partire per l' ultima meta colorata come una cocorita!