L' assassino ritorna sempre sul luogo del delitto

L' assassino ritorna sempre sul luogo del delitto

  • di Redazione
  • 24 Dicembre 2019
  • Rita, poesie e non solo


Ritorna l’imperdibile appuntamento del martedì con la rubrica curata dalla nostra magica Rita Meleddu

Sono trascorsi 7 mesi dall' ultima tac, un tempo lunghissimo considerato il mio livello di malattia, conosco metastatiche che fanno tac, risonanze, e altro, anche ogni 2/3 mesi, in genere questo avviene quando la patologia corre veloce, e si deve monitorare il tutto così spesso. La mia malattia va avanti lo stesso, tuttavia mi sono sempre affidata completamente alle oncologhe che mi hanno e mi stanno curando. Fare tante tac cosa comporterebbe? Solo ad accumulare altre radiazioni, e se avessi fatto la tac 2 o 3 mesi fa, non avremmo saputo di più, anzi la sorpresa che poi ho trovato questa volta, magari non c'era ancora, io sarei stata più serena, e la malattia per certi versi, silente, avrebbe continuato il suo corso. Dunque, visto questo periodo non proprio ottimale, faccio la tac con mille pensieri, la mancanza di voce a cosa è riferibile? E il respiro? E questo e quello? Faccio tante congetture, già sapendo che anche questa volta l' esame mi svelerà segreti ancora sconosciuti, e però ( spero ), smentirà alcune ipotesi. Eseguo la tac, dunque, ansiosa e allo stesso tempo serena. Finalmente saprò e la mia dottoressa saprà cosa è meglio fare per me. Passa una lunga settimana d'attesa, e infine, come sempre, giunge il giorno in cui ritirare il referto. Partiamo da casa con pioggia e vento, Cagliari ci accoglie con una giornata piovosa e triste, parcheggiamo distante dal luogo di ritiro degli esami, e lo raggiungiamo a piedi. È un tragitto lunghetto, che ho fatto tremila volte a piedi, ma devo chiedere a Elio di andare piano, io che camminavo velocissima, spedita, ora, ogni tanto devo fermarmi a prendere fiato, o comunque rallentare il passo. Camminiamo stretti stretti sotto un mini ombrello, a testa bassa, tanto concentrati a non bagnarci, e a scansare altri passanti frettolosi come noi, tutti hanno e abbiamo fretta. Ma dove mai andiamo se tanto talvolta la vita ha già deciso per noi? Perché tutta questa frenesia? Vedo spesso quando devo fare delle visite in altre sedi diverse dall' Oncologico, che tutti hanno fretta, e se la prendono anche per un ritardo di 10 minuti sulla tabella di marcia, poi magari esci dall' ambulatorio nel quale hai fatto la visita, e vedi le stesse persone ferme a chiacchierare tra loro. Ma come, non avevano fretta? Una malattia seria come il cancro, insegna fin da subito la pazienza, l'attesa, perché è una patologia multifattoriale, si devono considerare diversi elementi di valutazione, di procedimento, e bisogna attendere... Elio a un certo punto mi indica un bar, come a chiedermi se desidero fare colazione subito. "No, rispondo, sia quel che sia l' esito che ritirerò, non gli permetteró di guastarmi la colazione, entriamo dopo, ho già adocchiato un tavolino vicino a una vetrata e un albero di Natale che mette già serenità, ci siederemo lì poi". Continuiamo a camminare veloci, ogni tanto sento uno schizzo d' acqua raggiungermi le caviglie, non mi dà fastidio, ma cammino lo stesso un po' a zig zag, facendo lo slalom e cercando di evitare l'acqua stagnante in strada. Io ed Elio camminiamo ancora e ancora, ognuno immerso nei suoi pensieri, e quasi senza rendercene neppure conto, ci troviamo di fronte alla porta a spinta del locale nel quale si ritirano i referti. Suoniamo il campanello, entriamo, e poiché contrariamente alle altre volte, non c'è nessuno in fila prima di noi, in attesa di ritirare i referti, senza avere il tempo di dire bah, mi ritrovo con la tac in mano. Entrare, firmare per ritirare l' esame e avere l'esito: è stato quasi tutt' uno. Rimango solo un attimo sconcertata, per la velocità con la quale si è svolto il tutto e penso come sempre "ora ho la mia sorte in mano". Passo la busta con la mia tac da una mano all' altra, come si fa con una patata bollente, in effetti è una busta esplosiva, scottante, contiene il mio destino, ora la aprirò e finalmente dopo lunghi mesi più o meno tormentati saprò. Del cancro ti uccide prima la paura del dolore, perché è così, inutile dire, fa paura, ma sono sempre del parere che le cose bisogna conoscerle per affrontarle, altrimenti cadi vittima senza poter tentare almeno di difenderti. Ma torniamo alla mia TAC, devo aprirla e sapere, subito!!! Intanto arrivano delle altre persone a ritirare i loro esami, quasi non li vedo, e infatti se ci ripenso, non ricordo nulla di loro, se non sagome come sfumate nella nebbia...Il momento di conoscere il verdetto è giunto, non esco fuori, ma prendo posto in uno dei divanetti presenti nel locale, la scena è sempre la stessa, si ripete ormai da anni e anni, io seduta con la busta in mano e Elio ansioso quanto e forse più di me, in piedi di fronte a me. Gli dico: " Sai che dobbiamo aspettarci di tutto, ma qualsiasi cosa sia, dobbiamo avere ancora tanta  fede". Forza, non posso esitare oltre, anche se a dire il vero sono trascorsi solo pochissimi minuti dal nostro ingresso nel locale. Faccio un bel respiro e apro la busta. Ah, però... La prima sorpresa così, subito, di colpo. La mia testolina è stata di nuovo visitata dalla malattia, avevo pensato che sarebbe potuto succedere nuovamente, ma dico la verità, pensavo che la testa fosse pulita, e quindi esclamo rivolta verso Elio: "È proprio vero che l'assassino ritorna sempre sul luogo del delitto; accidenti, non ci voleva proprio, è preoccupante la cosa, ma noi cercheremo di prenderlo anche stavolta, con le armi che abbiamo a disposizione!" Lo dico sorridendo anche se la mia testa cerca già possibili soluzioni.  Non so da dove mi venga tutto questo spirito per reagire in questo modo, ma io sono fatta così, faccio dell’ ironia sempre e comunque, pur facendomela addosso, chi mi conosce bene lo sa, non ho bisogno di dimostrare niente a nessuno, e soprattutto di mostrarmi diversa, se ho paura lo dico, se non ho paura lo dico lo stesso. Continuo nella lettura della TAC, come prevedevo, intuivo e in qualche modo sapevo, c'è stato un incremento del versamento pleurico bilaterale. Questo spiega le mie difficoltà nel respirare e anche ( si spera ), la mancanza di voce o il suo alternarsi. Tutto il resto è più o meno stabile, ma ce n'è,  a voglia se ce n'è, ma sarà che mi aspettavo molto ma molto di peggio, a livello della gola e dei polmoni, che la tac mi è sembrata persino bella. Mentalmente ringrazio Dio, tutti i santi e tutti coloro che hanno pregato per me, la mia oncologa che ha fatto la scelta giusta nelle cure, purtroppo se la malattia continua, non è colpa sua, lei è un oncologa, mica un mago. Da quel momento sono stata pervasa da una serenità incredibile, ancora una volta ho visto uno spiraglio, una via d'uscita, e siccome guardo in ogni situazione al bicchiere mezzo pieno, vedo che forse per me c'è ancora un po' di futuro. Così lasciamo il locale, la giornata benché tetra mi appare luminosa, perché la luce deve essere dentro di noi, e io in quel momento pur molto consapevole di ciò che mi aspetta e dovrò nuovamente affrontare, vedo una piccola luce in fondo al tunnel. Ecco, devo solo inseguirla e non farla spegnere mai! Ora si va a fare colazione. Entriamo nel bar,  il tavolino vicino alla vetrata e all'albero di Natale luccicante è ancora libero, Elio fa le ordinazioni e ci accomodiamo, io manco a dirlo vicino all'albero (arriva Natale e dobbiamo sentirlo, mettiamo per un momento da parte i pensieri). Il locale è carino e cosa per me indispensabile, pulito, luminoso. Rileggo la TAC, in sottofondo si sentono i rumori tipici di un bar, e il chiacchiericcio proveniente dagli altri tavolini. Ma è tutto così piacevole, non mi infastidisce, anzi, mi rilassa, mi fa pensare alle normalità, a quanto è bella, ci pensi solo nel momento in cui stai per perderla. Quanti gesti quotidiani come prendere un caffè, scambiare un saluto, leggere il giornale, facciamo senza neppure farci caso, e non pensiamo più alla bellezza di queste piccole cose, eppure quando si sta tanto male e anche alzare una mano per salutare ti costa fatica, rifletti e pensi a quanto c'è di bello ogni giorno nella nostra vita, ma non ci badiamo nemmeno.  Ora dalla porta del bar vicina a noi entrano 7/8 ragazzi accompagnati da un giovane signore, immagino un professore, e immediatamente nel bar si espande l'odore e la gioia della giovinezza. Si accomodano in diversi tavolini, il professore, per me lo è, dice ai ragazzi di non fare chiasso in modo da non disturbare i clienti presenti, ma loro non fanno quel chiasso fastidioso, parlano tra loro, scherzano e ridono, portando vitalità e non disturbo. Questi ragazzi mi hanno trasmesso, senza saperlo, ancora più voglia di vivere, lasciamo il bar e ci avviamo verso l'ospedale, lasceremo la tac alla mia dottoressa, che la visionerà con calma e prenderà, come sempre, ne sono sicura, le giuste decisioni. Ora tocca a lei cercare ancora e ancora di tappare le falle che si sono aperte nuovamente nella mia barca ( il mio corpo), e che mi consentiranno ancora di proseguire nel viaggio della vita.  Visto che ci stiamo recando in ospedale, approfitto del fatto che sono lì per passare un attimo in dermatologia e chiedere la cortesia di essere vista da qualcuno, perché da giorni e giorni ormai, ma non è la prima volta che capita, sono  afflitta da una brutta manifestazione cutanea che poi si rivelerà come avevo ipotizzato, una follicolite, e visto che questa volta si sta protaendo molto, in Dermatologia mi aiuteranno senza dubbio. Devo dire che non è assolutamente mia abitudine rompere le scatole nei vari reparti, se non sto veramente male. Cerco sempre di cavarmela da sola, ma quando c'è un motivo valido per forza di cose mi devo presentare. Ho incontrato Deborah, une delle infermiere di Dermatologia, che conosco da tempo ormai, sempre gentilissima e solerte nei miei confronti, e non solo nei miei, perché ho visto tutta l'umanità e la dolcezza che mette nel suo lavoro e questa è una cosa bellissima: il paziente spesso è sofferente e spaventato, e anche un sorriso, una parola detta col cuore, un incoraggiamento, vogliono dire molto, permettono di affrontare meglio percorsi impervi e difficili.  Comunque, torniamo a noi, Deborah mi dice di avere pazienza perché i medici sono tutti impegnati, ma che qualcuno mi vedrà. " Va bene dico, non c'è problema, aspetto, l' importante è che qualcuno mi visiti e mi aiuti". Parliamo velocemente della tac e quando le racconto delle sorprese che ho avuto, e mi dico serena, lei più o meno mi risponde così: "Come fai a stare così serena? Sei un esempio", Deborah potrebbe aver detto altro, ma il senso è quello, e io le dico, sempre più o meno :"Cosa posso fare, se non accettare la malattia e cercare però di combatterla? Vedi che ho poco fiato, non posso neppure pensare di salire sul Bastione di saint Remy a Cagliari e buttarmi giù perché non ce la farei ad arrivarci, e dovrei desistere da propositi suicidi, evitando anche la figuraccia di non essere riuscita nell'intento, anzi le ho detto, immagino già i titoli dei giornali del giorno dopo, "Donna malata, tenta di suicidarsi gettandosi dal bastione, ma per mancanza di fiato non riesce ad arrivare in cima ". Che vergogna!!!