E il Capodanno a chi lo lasciamo?

E il Capodanno a chi lo lasciamo?

  • di Redazione
  • 4 Dicembre 2018
  • Rita, poesie e non solo

Ritorna il martedì dedicato alla rubrica curata della nostra magica Rita Meleddu che ci regala un racconto con aneddoti di quando era bimba.

Se il Natale è magia, intimità, casa, il Capodanno è allegria, gioia, aspettative per il nuovo anno. Siamo tutti scaramantici: pensiamo che lo scatto di un giorno dal 31 dicembre dell' anno che finisce,  al 1° gennaio dell' anno nuovo, porti chissà quale cambiamento. In realtà non varia nulla. È tutto un susseguirsi di secondi, minuti, ore e giorni. Ma è in ogni caso bello scambiarsi gli auguri e sperare in qualcosa di buono. I sogni, dico sempre, non costano nulla e talvolta si realizzano. Ma parlerò anche oggi dei Capodanno della mia infanzia o gioventù.  Mi piacciono maggiormente. Ora chi festeggia più? Parlo per me naturalmente. Non mi ci vedo a fare trenini, cin, trombette al seguito, al suono di canzoncine brasiliane che evocano allegria, ma che a me invece mettono tristezza. Come detto non cambia nulla da un minuto all' altro che porta al nuovo anno e dobbiamo per forza stordirci e divertirci. Da anni passo il Capodanno in compagnia di mia cognata e le nostre famiglie o da soli in casa. E a me piace decisamente di più. Non adoro il fracasso e il divertimento a  tutti i costi. Questa naturalmente è la mia idea. Ognuno è libero di fare ciò che crede. E ci mancherebbe. Ma torniamo indietro nel tempo. Io ero piccola, e quindi dove volete che potessi andare a quell' età? Eh, eh, io ero piccola è vero, ma le mie sorelle erano grandi e scalpitavano per uscire. Vantaggi di essere la più piccola. Se io frignavo, mi dovevano portare dietro. Allora si organizzavano i balli e le feste in casa. Ho tanti ricordi, alcuni vaghi, altri più nitidi. Una notte, sicuramente era Capodanno, mi venne la bella pensata di andare a dormire a casa di zia Emma. Le mie sorelle già si strofinavano le mani per la gioia di non avermi tra i piedi, senonchè, a un certo punto, non volli più andare a letto, anzi mi misi a fare i capricci poi a piangere e così mio cugino dovette riportarmi da loro  intente a ballare. Potete immaginare la loro gioia nel rivedermi! Si erano liberate di me solo per qualche ora. Mi fulminarono con lo sguardo. Loro erano giovani e avevano il ragazzo ( io vedevo tutto) , allora dove non potevano le lacrime, per farmi stare con loro, potevano le minacce: "Lo dico a babbo!". Oh, funzionava sempre. Cedevano subito. Però ora che ci penso, mi sa che mi pizzicavano e mi tiravano i capelli, e anche qualche schiaffetto. Peccato che ero ingenua all'epoca e non c' era ancora il telefono azzurro! Altrimenti avrei potuto chiamare. La mia "sorella di mezzo" dopo che si fidanzò, tenne la foto del suo amato sul comodino che divideva i nostri letti, visto che dormivamo nella stessa camera. La notte girava la foto verso di sé. Io però, per giocare, le facevo piccoli dispetti. Quindi ogni tanto mettevo il portaritratti sdraiato sul comodino. Sacrilegio! Non appena mia sorella si accorgeva lo tirava su. Nell’immagine mio cognato indossava la divisa che portava durante il servizio militare, io mi divertivo a fargli i vestitini di carta da applicare poi alla foto. Così una volta lo travestii da sposa con tanto di velo e una volta da torero. Sicuramente l'avrò abbigliato anche in altro modo, ma non ricordo. Le persone, le donne soprattutto della mia età, ricorderanno le riviste femminili che avevano alcune pagine dedicate alle bambine. Vi erano delle bamboline di carta, delle signorinette con un vasto abbigliamento. Abitini, maglie, cappotti, e  accessori, borse e tanto altro. La bambolina si doveva ritagliare e lo stesso avveniva con gli abitini avevano una sorta di prolunghe di carta che servivano a far in modo che gli abitini rimanessero attacati alla bambola. Una volta imparato a disegnare i vestitini ne producevo una vasta gamma. Come dico sempre, ci si divertiva con poco e gli indumenti con i quali vestivo quell' ignaro di mio cognato erano fatti così. Ero una sarta provetta! E pensare che ora non so attaccare un bottone!
Torniamo però ai Capodanno. Al solito divago e salto di palo in frasca. Giunti che si fosse al 31 dicembre e a quel freddo pungente che fa immediatamente feste natalizie, si decideva (sempre i grandi) dove trascorrere la serata. Si organizzava nelle case. Stanze piccole ma accoglienti,  affollate di ragazzi e una bambina, sempre in mezzo ai piedi. Non dirò chi è. Tanto non indovinerete mai. Ricordo il giradischi che suonava i 45 giri, quasi sempre lenti, la puntina ogni tanto si incantava e allora il disco saltava e ripeteva lo stesso motivo, i ragazzi a ballare e io che stavo nei pressi dell'albero di Natale, decorato e luccicante, sotto al quale stavano i panettoni e lo spumante. Io stavo di vedetta come una sentinella a guardia della polveriera. Non spostavo il mio sguardo da lì. Attendevo la mezzanotte come un naufrago attende una zattera di salvataggio. Perché credete che andavo ad annoiarmi li? Solo ed esclusivamente per aspettare la mezzanotte, ora in cui ci sarebbe stato un grande allegro scambio di auguri ma, motivo principale, si sarebbero aperti i panettoni. Non potete capire.  Avevo sonno e non vedevo l' ora di tornare a casa, ma certamente non si è mai visto festeggiare il Capodanno con ore di anticipo. Ogni tanto la testa ciondolava, ma non cedevo. Lo sguardo sempre vigile, più o meno, rivolto ai panettoni. Che li guardavo a fare non lo so. Mica scappavano! Per fortuna, come Dio vuole, arrivava anche la tanto attesa mezzanotte, era tutto uno scambiarsi gli auguri e finalmente si apriva il tanto atteso panettone. Lo so che mi ripeto, ma quel panettone era così buono! E doveva essere anche per il fatto che non ne avevamo tantissimi come succede ora. Ecco a questo punto mi rinvigorivo un po', ma ero pur sempre una bambina piccola e sonnecchiosa. Raggiunto lo scopo si poteva tornare a casa e andarcene bellamente a letto? Arrivederci a tutti, è stato bello, in particolar modo l'apertura dei panettoni, per lo spumante non avevo grande interesse, ma ora prendiamo congedo da voi.  All'anno prossimo. Eh no, le mie sorelle come le sorellastre di Cenerentola a questo punto insorgevano. Volevano ballare ancora e giustamente protestavano: "Sei voluta venire, ora aspetti. E stai pure zitta!" Tante minacce a una piccola bambina indifesa. Mi rassegnavo allora, ma che noia! Che me fregava a me dei ragazzi. Sognavo solo il letto e le bambole altro che fidanzati appiccicosi. Ma dovevo stare lì. I lenti mi facevano venire ancora più sonno. Ogni tanto gettavo un occhio verso le mie sorelle, non per altro, tutto poteva essere motivo di ricatto nei loro confronti, ad esempio se le scoprivo oltre che abbracciate a fumare potevo sempre usare queste scoperte a mio vantaggio (leggi spifferare tutto a mio padre ) poi tornavo a dormicchiare. Immancabili i Dik Dik che cantavano "Senza luce", sapete quella canzone che fa:" Han spento già la luce, son rimasto solo io..." ? A un certo punto, poteva essere l' una o le due di notte, ecco, appunto se vuoi stare da solo stacci pure, chi te lo impedisce, ma visto che le luci sono spente e casco dal sonno torniamocene a casa!