Aspettando la risonanza

Aspettando la risonanza

  • di Redazione
  • 23 Luglio 2019
  • Rita, poesie e non solo

Ritorna l’atteso appuntamento del martedì con la rubrica curata dalla nostra amica Rita Meleddu "Rita, poesie e non solo"

La settimana scorsa dovevo eseguire degli accertamenti e fortunatamente sono riuscita a farli tutti, ma vogliamo parlare della risonanza? Parliamone, non prima però di accennare brevemente agli esami del cuore per me, ormai, e per chi me li fa, sempre più difficili da eseguire. Lunedì dovevo fare solo l' eco al cuore, ero contenta, se posso evitare un elettrocardiogramma sempre per la difficoltà che si ha nell' eseguirlo è meglio. Dunque faccio l' eco, la dottoressa al solito mi dice che il cuore si vede pochissimo, prova di qua, prova di là, realizza, per quel che può, un esame molto accurato, poi mi dice che in base agli elementi raccolti, posso continuare a fare la chemio. Sono contenta, almeno una cosa che va bene; però la dottoressa mi ha trovato tachicardica, ci vuole vedere chiaro e mi richiede una visita cardiologica con elettrocardiogramma. Mi prenotano in tempi rapidissimi, farò tutto venerdì, dunque a distanza di pochi giorni. Arriva la data dell’esame, mi presento in anticipo come mia abitudine, e sono fortunata, perché essendoci ancora pochi pazienti, vengo fatta accomodare presto. Naturalmente l' infermiera, non appena vede la medicazione al torace, rimane un po' perplessa e poi dice: "Come faccio a fare l' esame?" Poi s' ingegna e riesce nell' intento. Mi dice: "Speriamo che vada bene, altrimenti glielo rifaranno quando è in visita!" Io replico: "Andrà bene", e così è stato. Arriva il momento della visita, la dottoressa che incontro è molto gentile, fattore non secondario, mi visita scrupolosamente, poi mi dice che la tachicardia non è continua, ma insorge sporadicamente e non dovrebbe essere nulla di grave. Mi congeda tranquillizzandomi e dicendomi di stare serena. Speriamo bene, poiché questa tachicardia ogni tanto si fa sentire e non in seguito a uno sforzo, ma anche in condizioni normali. 

Veniamo alla risonanza, ce l' ho al pomeriggio sul tardi.  Non vedo l' ora di farla. Mi prende sempre così, anche se ho paura di un tal esame, poi non vedo l' ora di farlo. Finalmente mi chiamano, mi preparo e aspetto in una sorta di camerino che esca l' altro paziente. Sono completamente rilassata, converso con un'infermiera, gentilissima che ha un tono di voce pacato e sereno. Questo contribuisce a farmi stare ancora meglio, poi mi dico, ho preso qualche goccia, questa volta starò proprio tranquilla. Sì, credici...

Ora il paziente lascia la risonanza e tocca a me. Mi sdraio sul lettino e già comincio a stare male, la testa mi pare troppo reclinata all' indietro e mi sembra di avere problemi alla respirazione; e non sono neppure entrata in risonanza, andiamo bene!!

Il tecnico mi tranquillizza dicendomi: "Signora, lei ha fatto l' esame altre volte e sa come funziona, stia tranquilla!" Eh già, proprio perché so come funziona non sono tranquilla. Mi mette la maschera sulla testa e mi dice: "Tutto bene?" Io : "Sì, però la maschera è un po' claustrofobica!" E notare che la maschera non è completamente chiusa, dunque una cosa favorevole.  Lui: "Lo so signora, ma non possiamo fare altrimenti; però lei ha uno specchietto posizionato sulla macchina della risonanza, sopra la sua testa, guardi, così mi vede e si rassicura."

È vero, ogni volta in cui eseguo l' esame, se non chiudo gli occhi, guardo lo specchietto che mi rimanda l'immagine del tecnico. Non ho gli occhiali, ma vedo la sagoma e il computer al quale  lavora, questo mi rassicura, ma non abbastanza da non farmi andare in ansia. 

Ora inizia l' esame vero e proprio, il lettino scivola dentro il tubo e sono sola con me stessa. In mano ho il campanello da suonare solo in caso d'emergenza; spero non mi debba servire com' è successo finora. Ho le cuffie per attutire i rumori prodotti dalla macchina quando inizia l' esame. Questi rumori non mi danno fastidio, al contrario, essendo ritmici, quasi mi distendono. Le braccia sono distese lungo il corpo, morbide e questo è un vantaggio, perché altre volte per altri esami le ho dovute tenere alzate dietro la testa e non vi dico il supplizio. Le mie braccia non si sollevano oltre un certo punto, per di più le ho sempre intorpidite e quindi soffro molto a tenerle sollevate a lungo. Dunque l' esame inizia, mi dico di stare serena che ho fatto cose peggiori, la risonanza non fa male, devo solo pazientare una mezz' oretta! Però sono 30 interminabili minuti che iniziano da questo momento. Cerco di rilassarmi totalmente chiudendo gli occhi ( magari riesco a dormire! ) e di ammorbidire i muscoli che sento tesi. Via, si comincia davvero.  Tum tum, tum, tum, sento nelle orecchie, poi " din, din, din, din " si, si, faccio tra me e me, non mi fai un baffo, io sono serena!" Serena??? E allora perché non riesco a respirare bene, né a deglutire? Cerco di non pensarci, piano piano riesco a respirare lentamente, ma so che ogni tanto devo prendere più aria per i polmoni, ma come faccio? Non c'è tanto spazio li dentro e se faccio un bel respiro mi muovo e devo stare ferma il più possibile. Certo la posizione non mi aiuta, e la grande costrizione toracica fa il resto. Ok, se mi impegno riesco a buttare l' aria fuori senza muovermi, ma non riesco assolutamente a deglutire e devo farlo. Noi in condizioni normali non ci accorgiamo di respirare né di deglutire, ma quando si è costretti in un tubo tutto diventa più complicato. So benissimo che è solo una questione di testa, è vero che mi trovo in un posto stretto e sto male, sdraiata, con la testa appianata al corpo e reclinata all' indietro, ma posso ugualmente respirare e inghiottire, è una questione di forza di volontà, non devo dar retta alla mia mente, lo posso fare, devo fare qualcosa per far passare il tempo così non penso. E così mi metto a pregare, ma sono distratta, non riesco a concentrarmi, il buon Dio capirà, non starà lì a contare le mie Ave Maria. Poi conto, ma il pensiero torna lì, non riesco ad inghiottire. A un certo punto non ce la faccio più e cerco di mandare giù la saliva che tra l' altro non ho. Faccio questo movimento e sono ben consapevole di aver mosso la testa ma non posso fare diversamente. Strano, il tecnico non mi dice nulla, forse posso farlo, e faccio più volte l'azione di inghiottire, fino a che a un certo punto sento la sua voce: "Signora, lei si sta muovendo troppo, muove la bocca (e te credo, vorrei vedere te al posto mio), le immagini sono sfuocate e dobbiamo rifare l' esame" Rispondo: "Lo so che mi sono mossa ma io non riesco a deglutire e ho difficoltà a respirare",  replica : "Lo so signora, ma deve stare ferma, abbia pazienza e cerchi di deglutire quando sente il macchinario fermarsi. Quando riprende a lavorare stia ferma e non deglutisca" 

Non so neppure io come ho fatto a resistere; ho tenuto duro, il campanello che avevo stretto nella mano destra sembrava dirmi: "Suonami, te l' hanno dato apposta per suonarmi in caso di necessità!" Ma io non gli ho dato ascolto e, seppur sofferente, ho continuato l' esame fino a che ho risentito il tecnico dire: "Bravissima signora ( capirai ), abbiamo quasi finito, ora le mando il contrasto, dopo di che l' esame durerà solo qualche minuto". A questo punto tutto mi è sembrato più facile, ho atteso buona buona quasi contando i minuti, fino a che attraverso lo specchietto ho visto il tecnico uscire dal mio campo visivo, ha raggiunto la porta della stanza della risonanza, aprirla e dirmi  "Signora abbiamo finito!" Che dire? In quel momento mi è sembrata la frase più bella del mondo, mi hanno aiutato a scendere dal lettino, e mentre e l'infermiera mi riaccompagnava alla stanzetta per riprendermi e vestirmi, le ho detto : "Ma le pare che devo avere più paura di un esame ( che non è assolutamente doloroso), che dell' esito? Oggi non mi sono comportata bene, mi sono mossa. Ma qualcuno lo suona quel campanello?" E lei : "Lei, signora, è stata brava, ( se lo dice lei), in molti, non solo suonano il campanello, ma se soffrono di claustrofobia non varcano neppure la stanza della risonanza, fanno l' esame in sedazione. "Bene bene, penso io, buono a sapersi..."