Ce la faccio! Ce la faccio!

Ce la faccio! Ce la faccio!

  • di Redazione
  • 4 Giugno 2021
  • Di sole, di ombre, di Mari

Il coraggio e la forza della nostra amica Marisa Guidetti sono incredibili! Grazie per tutta questa grinta che sprigioni!

In passato, ben poche volte mi sono potuta fermare se non ero in forma. Dovevo sempre stringere i denti ed andare avanti. Dopo l’operazione per la rimozione del tumore, la mia frase tipo è diventata "Ce la faccio, ce la faccio! Come dissi in ospedale prima di vomitare".

È successo veramente. Mi avevano tolto il catetere il giorno prima ed entrò in camera una OSS che mi chiese se poteva farmi il letto. Le dissi di sì con l’idea di mettermi sulla sedia vicino al tavolino. Ma come mi sedetti sulla sponda del letto, cominciai a piangere. Non ricordo un dolore molto forte, ma evidentemente lo era perché le lacrime non si fermavano. Però il giorno prima lo avevo fatto senza particolari problemi, ero anche andata in bagno la notte senza chiamare nessuno. Non ricordo di aver mai chiamato nessuna infermiera per tutta la degenza.

Quindi dissi "Ce la faccio! Ce la faccio!" Scesi dal letto e feci due passi verso la sedia, ma evidentemente il dolore fu notevole perché sentii che stavo per vomitare. Cercai di muovermi verso la traversina che mi avevano lasciato sulla sponda del letto proprio per i vomiti. L’OSS se ne accorse e, temendo che potessi cadere, cosa che sarebbe sicuramente successa, corse a prendermi. Era una giovane donna esilissima e più bassa di me, ma cercò di sostenermi ed io vomitai mentre mi teneva. Ricordo che le dissi "Che schifo. Mi scusi..."

Almeno non pesavo tanto. Ero già magra quando sono entrata in ospedale e dall’operazione avvenuta tre giorni prima, il mio unico sostentamento erano le flebo, l’acqua e il tè. Quindi vomitai solo succhi gastrici incolori e credo inodori.

L’OSS mi accompagnò a letto e chiamò l’infermiera. Stavolta alla domanda "Dolore da uno a 10?" non risposi come avevo fatto fino ad allora "4 o 5", ma un bel 10 pieno.

Qualche ora dopo arrivò mio marito. L’antidolorifico aveva fatto effetto e ci sedemmo al tavolino dove gli raccontai l’impresa mattutina.

Poco dopo entrò l’OSS e mi disse "Vedo che sta meglio. Le posso fare il letto ora?"

"Signora, le ho vomitato addosso. Lei può fare tutto quello che vuole".

L’OSS sorrise "Stia tranquilla, è riuscita ad evitarmi e la traversina ha fatto il suo effetto".

Dolcissima. Io però mi sento ancora in colpa. Dal giorno la battuta "Ce la faccio! Ce la faccio! Come dissi in ospedale prima di vomitare" è quello che dico quando, anche se sono stanca, non posso o non voglio fermarmi.

Ero veramente debole il quei giorni. Ricordo che vennero degli specializzandi per misurarmi la pressione. Una dottoressa chiese ad un collega di verificare lui perché non era sicura della mia minima "Non la sento bene".  Fu più forte di me. Cominciai a ridere e dissi: "Non ne ho più. Non ho più pressione. Il sangue non circola più…" Un altro specializzando non se fece dire due volte, mi prese il braccio e urlò: "La stiamo perdendo… la stiamo perdendo…" ilarità generale. Dopodiché riuscirono a prendermi la pressione con sicurezza.

Comunque, da lì in poi, le cose sono andate molto meglio, sia a livello di dolore che con il cibo perché, finalmente, cominciarono a darmi da mangiare. Ovviamente avevo lo stomaco ridotto come un fagiolo e quindi mio marito mi portò degli omogeneizzati alla frutta che fortunatamente "gustai" solo un giorno. Poi gustai, veramente gustai perché lo ricordo molto buono, il cibo dell’ospedale. Dell’ultimo omogeneizzato mandai la foto a mio cognato scrivendo che la zia aveva ricominciato a mangiare e lasciavo l’omogeneizzato a mia nipotina. Ricevetti in cambio la sua foto sorridente.