Per ogni giorno, ogni istante, ogni attimo che sto vivendo…GRAZIE MILLE!!!

Per ogni giorno, ogni istante, ogni attimo che sto vivendo…GRAZIE MILLE!!!

  • di Redazione
  • 14 Giugno 2022
  • Amor vincit omnia

L'amica Daniela Zedda racconta la ventata di energia che ha avuto nell'affrontare una nuova sfida, nonostante la malattia.

DISCLAIMER: A tutti coloro che credono nelle seconde possibilità…

È strano come talvolta gli eventi accadano con una SORPRENDENTE PUNTUALITÀ, e una TEMPESTIVITÀ apparentemente innaturale, quasi come se dietro agli stessi si celasse una sorta di DISEGNO STABILITO, di LINEA INVISIBILE che li unisce, e che porta con sé un significato da interpretare.

Quel rigido e stretto lockdown del 2020 ha cambiato la vita di tanti, compresa la mia, ma al tempo la mia era ancora una vita spensierata, invasa solo dal frastuono di quello che è stato considerato un periodo di CAMBIAMENTO EPOCALE in tutti i sensi, preludio dell’avvento di una NUOVA ERA. È stato il periodo in cui molte categorie lavorative sono state costrette a passare allo Smart working. Alcune ne hanno tratto vantaggio e profitto, rendendo il lavoro più agevole, flessibile e dinamico, altre categorie, invece, hanno avuto maggiori difficoltà e sono andate incontro ai limiti imposti dal mancato contatto fisico, dall’impossibilità di poter garantire la presenza fisica attenta e partecipe. Così è accaduto, per quello che era il mio lavoro allora, quello dell’EDUCATORE. I contatti con gli utenti erano mediati da uno schermo, non si poteva dare una carezza, un abbraccio che, talvolta, senza nulla dire, trasmettono molto, comunicano in silenzio, rassicurano, sfondano barriere apparentemente indistruttibili. Siamo partiti da lì, ma abbiamo comunque cercato di creare una nuova realtà, di arrivare in maniera diversa, seppur distanti e separati da uno schermo a cristalli liquidi: abbiamo messo LA SPERANZA DEL FUTURO in quei primi tentativi di fare bene, nonostante tutto.

Il mondo stava cambiando, tutto stava cambiando, e anche noi siamo stati chiamati a cambiare, cambiare per costruire QUALCOSA DI NUOVO, qualcosa di diverso.  Però, mancava lavorare in presenza, mancavano gli abbracci, le carezze, i sorrisi, mancava tutto ciò che rappresentava "LA NOSTRA NORMALITÀ", la SOCIALITÀ SPONTANEA E CONDIVISA. L’essere, e lo stare insieme. Allora non lo sapevamo, ma tutto questo, gradualmente, sarebbe tornato, quando la parola EMERGENZA SANITARIA GLOBALE sarebbe andata via dissolvendosi, e lasciando spazio a una nuova realtà, quella che ci apprestiamo oggi a conoscere e contemporaneamente a costruire, frutto anche del fatto di non aver mai perduto la speranza di poter superare quel momento di forte insicurezza e destabilizzazione.

Ricordo bene il giorno in cui arrivai per la prima volta all’ospedale oncologico: sarà lo stato d’animo, sarà la percezione soggettiva, sta di fatto che, giunta all’ingresso, quella struttura ai miei occhi, apparve come una struttura altissima, monumentale, quasi un grattacielo. Ovviamente non lo era, ma io la percepivo svettare sopra la mia testa, quasi lo fosse. Le persone si muovevano veloci e disorientate, confuse come formichine perdute. Dovevamo compilare il questionario, igienizzare le mani, essere sottoposti al controllo della temperatura, rispettare le distanze, disporci per file ordinate e precise. Oggi tutto questo ci appare naturale, sono anni che viviamo così, ma allora era tutto nuovo, pareva d’essere precipitati in un altro mondo, fatto di limiti e restrizioni e privo di quella libertà d’azione a cui eravamo da sempre stati abituati. UN ATTENTATO ALLA NOSTRA SOCIALITÀ, ALLA NOSTRA SPONTANEITÀ. A tutto questo s’aggiungeva poi la mascherina ffp2, che ha coperto i nostri sorrisi, la nostra espressività, per molto tempo, e alla quale ci siamo dovuti abituare, nonostante paresse quasi ci togliesse il respiro. Quel giorno, quando il giovane chirurgo mi comunicò senza troppi preamboli il risultato della mia biopsia, già previsto e prevedibile, il mio telefono, insonorizzato per l’occasione, s’illuminò, mostrando il numero della mia coordinatrice. Sul momento non risposi: mi avevano appena confermato che avevo un grosso tumore maligno in corpo e avevo bisogno di tempo per incassare il colpo. Non ci volle molto, perché ero già preparata alla diagnosi di tumore maligno, era visibile a occhio nudo, non c’erano mai stati dubbi sulla sua natura a riguardo, per cui quando guardai il telefono e vidi la chiamata della coordinatrice, uscita da lì richiamai e una voce allegra, entusiasta ed emozionata mi annunciò che SI, DA QUEL GIORNO AVREMMO POTUTO RIPRENDERE A LAVORARE IN PRESENZA… aspettavo questa notizia da tempo immemore ma, io…io avevo appena ricevuto la diagnosi di tumore maligno, con tutto ciò che ne consegue, che in quel momento non avevo neanche idea di cosa, a conti fatti, potesse essere. Mi trovavo costretta a mettere la mia vita in standby, almeno per un periodo, non sapevo neanche da dove avrei dovuto o potuto cominciare. Avevo bisogno di tempo per fare tutti gli accertamenti, radiografie, Tac, Risonanza, scintigrafia, ecografia, e soprattutto per provare a capire come quell’evento avrebbe trasformato la mia vita.

STRANA LA VITA! A volte stupisce LA TEMPESTIVITÀ DEL DESTINO: la chiamata per riprendere una vita normale, che sanciva la libertà di riprendere il lavoro che avevo in presenza, è arrivata nello stesso momento in cui mi comunicavano che la mia vita era stata invece travolta da un altro evento destabilizzante e imprevedibile, qual era, appunto, la mia malattia.

Da allora sono passati all’incirca due anni, e proprio in questi giorni si è conclusa per me quell’esperienza lavorativa iniziata l’autunno scorso, e che mi ha regalato grandissime emozioni. Dicono che quando un evento traumatico investe la tua vita, la prima cosa che devi fare, per reagire, è quello di NON RIMANERE FERMO A PENSARE, ma di RIMETTERTI IN MOTO QUANTO PRIMA… 

L’anno scorso feci l’aggiornamento per l’inserimento nelle graduatorie Ata, e a ottobre, come per magia venni chiamata come collaboratrice scolastica. Avevo già ripreso a lavorare da un po' e ciò che facevo mi piaceva: lavorare come educatore ti arricchisce umanamente e personalmente, ma in quel momento per me l’opportunità di un lavoro a tempo pieno, come collaboratore scolastico, mi permetteva di conciliare due fondamentali necessità: LA NECESSITÀ DI GARANTIRMI UN MOVIMENTO FISICO REGOLARE, QUOTIDIANO E COSTANTE, VISTE LE MANSIONI SVOLTE, E IL TEMPO NECESSARIO AD ACQUISIRE UNA RITROVATA STABILITÀ EMOTIVA. Ero ancora troppo fragile per riprendere la vita frenetica di prima, e avevo bisogno di un lavoro che mi permettesse di spostare l’attenzione dai pensieri legati alla malattia, che mi ricordasse che POTEVO ANCORA FARE, ESSERE, che mi spingesse gradualmente ad andare al di là della paura dei limiti che la malattia ti impone.

Quanto conta per una persona che vede sfuggirsi via la vita di mano poter ancora dimostrare soprattutto a se stessa di possedere ancora intatta la capacità del SAPER FARE? Quanto conta il prendere coscienza del fatto che la malattia non ha annientato la propria capacità di creare? RIMETTERSI IN GIOCO, NONOSTANTE TUTTO rappresentava un po' UNA RIVALSA nei confronti di una vita beffarda,  una SFIDA e UN’OPPORTUNITÀ, allo stesso tempo. Fino ad allora ero entrata a scuola come educatrice, insegnante, ma mai come collaboratrice scolastica. Non mi sono mai sentita sminuita nel fare un lavoro differente da quello d’un tempo: OGNI LAVORO HA LA SUA DIGNITÀ E IL SUO VALORE, e personalmente, posso dire che ne sono uscita arricchita, perché ho trovato un ambiente e delle persone che mi hanno accolto, che mi hanno accompagnato in quest’avventura, m’hanno fatto sentire parte di un gruppo, di una squadra solidale, disponibile, presente quando necessario, dove non esistevano rigide gerarchie, ma un obiettivo comune che era quello di garantire il miglior servizio possibile in base alle proprie risorse materiali, ma soprattutto umane.  Il lavoro è importante per tutti, malati e non: non per niente rappresenta uno dei diritti fondamentali dell’individuo, sancito dall’art 4 della Costituzione, ma quando t’ammali diventa ancor più importante se possibile, perché assume un ulteriore connotazione. LE PERSONE NON SI CURANO CON I SOLI FARMACI. I farmaci agiscono sul corpo, la motivazione e la determinazione sulla mente e sul cuore, sull’aspetto emotivo, perché RIPRENDERE O NON RINUNCIARE AL LAVORO rappresenta, per alcuni individui, il modo e la maniera di REAGIRE ALLA MALATTIA, di ridare valore al proprio tempo, di riconoscersi ancora un’utilità all’interno della società, nonostante tutto.

Non è per tutti così, certo. Alcuni percorrono la strada opposta, trovano nel lavoro un ostacolo alla propria ripresa, e se ne allontanano per ritrovar se stessi. Di fronte alla malattia non esiste una ricetta univoca, valida per tutti. Ognuno reagisce dando priorità a ciò che ritiene più opportuno, l’importante è stare bene con se stessi e andare al di là della paura. E, per alcuni, come per me, il lavoro è stato il trampolino di lancio verso UN NUOVO INIZIO. Questo lavoro è stato un regalo che la vita mi ha fatto: avevo una nuova sfida da affrontare, ero ancora una volta APPRENDISTA, in un mestiere a me nuovo e sconosciuto. E, un po' come tutti coloro che iniziano un nuovo mestiere all’inizio sbagliavo, ero troppo lenta o troppo precisa, non riuscivo a sbloccare la fotocopiatrice quando si inceppava, però poi, con il tempo ho imparato il mestiere, in un crescendo di soddisfazione, mentre lei, la mia malattia, veniva talvolta, per gran parte della giornata, RELEGATA NEL DIMENTICATOIO. Ho continuato a lavorare nonostante i contagi Covid: ho adottato tutte le misure precauzionali previste, ma, non volevo chiudermi in casa per paura di contrarre una malattia pericolosa per me, perché NON POTEVO RINUNCIARE A VIVERE IL MIO TEMPO PRESENTE, CONSAPEVOLE DEL FATTO CHE NON AVEVO CERTEZZE DI QUELLO FUTURO. I sorrisi, il calore, le battute, hanno contribuito a FARMI SENTIRE A CASA.

E impari e capisci che quando un lavoro, e quando le persone con cui lo condividi, ti fanno sentire a casa e ti danno quella PIACEVOLE SENSAZIONE DI FAMILIARITÀ, al di là di tutto e nonostante tutto, ciò che è accaduto era effettivamente tutto ciò che era destinato ad accadere, per condurti proprio lì dove dovevi probabilmente arrivare. SONO PROFONDAMENTE GRATA ALLA VITA PER AVERMI OFFERTO QUESTA POSSIBILITÀ, e se da una parte l’ultimo giorno è stato per me pieno di gioia perché avevo raggiunto uno dei miei primi obiettivi fissati, quello di portare a termine l’anno scolastico, dall’altra ero anche un po' triste perché mi lasciavo alle spalle, persone, profumi, giornate intense, risate, amicizia e piacevole quotidianità. IL CUORE È DOVE È CASA, e loro in questi otto mesi sono stati casa per me, a partire dalle colleghe e dai colleghi collaboratori, che mi hanno accolto e instradato come fa un genitore con un figlio, per arrivare poi alle maestre e al personale di cucina, mai avari di simpatia e convivialità, al personale amministrativo della scuola secondaria, mai scevro d’un sorriso, una battuta, cortesia e gentilezza, e non ultimo, ovviamente DALL’AFFETTO INCONDIZIONATO DEI BAMBINI. Perché per i bambini tutti sono importanti, anche coloro che li accompagnano in bagno. A tutti regalano un sorriso e un canto continuo, una domanda perplessa a cui in poco più di 13 secondi devi trovare una risposta convincente. "Perché quel tubo attraversa quel muro ed è collegato lì dietro?" Ah..pure in termoidraulica bisogna esser preparati per fare il collaboratore scolastico!! E… "Perché stai passando lo straccio lì? Guarda, ce n’è anche qui…ma, ascolta, ti posso aiutare??"  L’immancabile "Ti posso aiutare?" …CHE TENEREZZA! I bambini rimangono, in assoluto, le creature più semplici e straordinarie che esistano, sempre sinceri e senza filtri. È stato un onore per me condividere questo pezzo del mio viaggio con tutti loro, adulti e bambini. Non so cosa mi riserva il futuro, ma quel che so è che tutto succede per una ragione, e che le seconde possibilità, le nuove esperienze, i nuovi inizi possono aprirci PORTE INASPETTATE DAI MILLE COLORI.