

Una risonanza poco rilassante
- di Redazione
- 14 Gennaio 2020
- Rita, poesie e non solo
La nostra magica Rita Meleddu torna con un appassionante racconto della rubrica "Rita, poesie e non solo"
Martedì 7 gennaio, appena dopo l'Epifania e dunque ancora in periodo di Natale mi aspettava una risonanza magnetica alla testa per confermare o smentire la recente tac che segnalava dopo un periodo più o meno lungo di tregua, un ritorno di malattia alla testa appunto. La risonanza come naturalmente mi aspettavo anche se speravo il contrario, ha confermato il tutto, ed ora vedremo il da farsi, anche se un'idea c'è già, devo solo sperare che possa concretizzarsi. Devo dire che più la malattia avanza e più ci si abitua a tutto, anche se forse alla fin fine non ci si abitua mai, ma si riesce comunque a convivere con una malattia spietata, e a vivere una vita quasi normale. Forse sono io che non mi spavento, ma delle volte ancora mi sembra che sia un'altra persona a vivere le mie situazioni, mi pare quasi di assistere da spettatrice a uno spettacolo rappresentato da altre. Forse questo staccarmi da me stessa rende più leggero un carico invece molto pesante. Non voglio annoiare con la lista dei miei malanni, ma riferire di come anche un esame indolore come la risonanza possa procurare ansia che talvolta sfiora e sfocia in panico come è accaduto alla risonanza fatta a luglio. Questa volta non volevo arrivare a quel livello e non mi sono fatta fregare, perché è assurdo ma purtroppo è così, che io debba arrivare ad aver paura dell'esame in sé piuttosto che del risultato che, se permettete, è molto più importante.
Racconterò in breve in cosa consiste una risonanza alla testa, in modo che se qualcuno di chi mi legge deve farla, sa di cosa si tratta ed è sempre in tempo di disdirla e scappare a gambe levate. Scherzoooooo, nessuno scappi, che una risonanza non ha mai ucciso nessuno ma impanicato più di uno si. Ma perché accade questo? Forse perché il tubo della risonanza nel quale vengono fatti entrare i pazienti è leggermente claustrofobico? Sicuramente quello è anche che un valido motivo. Ho fatto tantissime volte la risonanza, sia al seno, alla colonna e alla testa, certo non mi piaceva ma ho tenuto duro e sono sempre riuscita a portare a termine l'esame senza fare questioni e soprattutto senza suonare l'allarme e interrompere un esame che a quel punto sarebbe stato da rifare. Visti i precedenti non capisco perché da un paio di risonanze a questa parte l'esame sia diventato fonte di ansia. L'ultimo di luglio in particolare, mi ha vista lì lì dal suonare il campanello e saltare giù dal lettino che è posizionato a un'altezza discreta non appena fossi stata tirata fuori da quella specie di loculo. Ma andiamo con ordine altrimenti rischio di non essere capita.
Luglio, caldo, anzi caldissimo, afa direi, ma nei locali della risonanza l'aria è decisamente fredda, tanto è vero che delle volte i pazienti richiedono una coperta talmente c'è freddo, ma è logico, credo che ci debba essere una temperatura molto bassa per una questione d'igiene, si sa il caldo favorisce il proliferare di germi e batteri, il freddo li elimina. Io comunque non ho paura né del freddo, anche perché sono sempre ben imbottita, né del caldo, ho paura della risonanza tutto qui. Arrivo in radiologia, mi avvicino all'accettazione e mi presento, riferisco dell'esame che devo fare, mi dicono di suonare il citofono della risonanza, faccio così, mi presento ancora una volta e dopo un po' la porta della risonanza si chiude alle mie spalle. Ahia, ora non posso più sfuggire, sarebbe da vigliacchi, ormai sono in ballo e devo ballare, cerco di darmi un contegno, ormai so cosa devo fare, mi preparo, posso tenere i vestiti, l'importante è che non contengano parti metalliche, e indosso camice, calzari e cuffia verdi usa e getta. Tolgo gli occhiali e così bardata e per di più cieca come una talpa, porgo il mio povero braccio destro, il sinistro latita da tempo con le vene, all'infermiera gentilissima che provvederà a incanularmi, dovendo fare la risonanza anche col contrasto naturalmente, altrimenti non credo vedano granché e così sono pronta. Aspetto in una sorta di cabina protetta da tende che fungono da separé, che esca il paziente che si sta sottoponendo alla risonanza in quel momento e che mi chiamino. Sono sola, decido di farmi una serie di selfie col telefonino e limando a mio marito che attende fuori e che forse è più ansioso di me. Faccio facce buffe, ma si capisce che sto bluffando, ho paura di andare in panico. Attendo ancora un po', poi avverto i passi del paziente che lascia la stanza della risonanza e tocca a me:" È pronta signora?" Chiede con estrema cortesia l'infermiera? "Vengo che l'accompagno". "Si, si - rispondo- prontissima, arrivo!"
In realtà vorrei solo togliermi tutta l'armatura verde, infilarmi gli occhiali, altrimenti farei poca strada, e scappare a gambe levate; lontano da tutto e da tutti e soprattutto lontano da questo incubo che mi perseguita da più di 10 anni. Vorrei scappare ma non posso e dopo qualche minuto mi ritrovo mio malgrado sdraiata sul lettino della risonanza. Ora è il tecnico che mi dà gli ultimi dettami. Mi chiede di posizionarmi in un determinato modo, mi appoggia le cuffie alle orecchie per attutire i forti rumori che il macchinario emette durante l'esecuzione dell'esame e che io non trovo fastidiosi, anzi, essendo ritmici li sento in qualche modo rilassanti, mi mette in mano il campanello da suonare in caso di necessità, e dulcis in fundo mi applica la maschera sul viso. Mi chiede come va e se sono tranquilla, e di stare tranquilla perché lui è li, può comunicare con me, e insomma non sono sola. E certo, lui c'è ma è dall'altra parte lo intravedo attraverso uno specchietto posizionato sulla macchina della risonanza, più che altro poi essendo io senza occhiali, intravedo la sua sagoma; questo dovrebbe bastare a rassicurarmi, però non appena la maschera è calata sul mio viso ho sentito come un senso di oppressione. Ora è davvero tutto pronto e si comincia, sento il lettino scivolare lentamente dentro il tubo, ci siamo, devo stare calma ma non è facile, la posizione non è delle migliori per me, ho la testa molto reclinata all'indietro, non riesco a respirare bene, tanto meno a deglutire. Tengo gli occhi chiusi e cerco di concentrarmi su immagini piacevoli, poi visti gli scarsi risultati, mi metto a pregare, poi a contare...nulla da fare, li dentro ci sto male, apro gli occhi e vedo solo il tetto del tubo del macchinario, lo so che è la mia impressione ma mi sembra ancora più stretto di quanto in realtà sia, e mi sembra sempre più di non riuscire a respirare bene, deglutire neanche a parlarne.
Con gli occhi rivolti allo specchietto cerco ancora una volta l'immagine rassicurante del tecnico che lavora al computer, cerco di concentrarmi su di lui, ma riesco a stare serena qualche attimo, ma poi la testa va per conto suo e mi dice che io li ci sto male, anzi per dirla tutta non ci faccio niente, e che noi esseri umani non siamo fatti per stare sia pure per una mezz' ora, infilati in un tubo, come una baguette dentro un forno. A un certo punto mi pare di non farcela più, la salivazione è completamente azzerata, non posso anzi non devo assolutamente muovere la testa per non inficiare l'esame, ma come si fa? Cerco di fare dei respiri corti e di buttare fuori l'aria in modo lento e ritmico per evitare di muovermi troppo, ma non riesco, a metà respiro mi sembra di soffocare e allora involontariamente e istintivamente cerco di rubare aria e di riempirmi i polmoni, e allora mi muovo un po' pur non volendo. Ma quello che mi fa stare peggio è non poter deglutire. La bocca è secca, ma allo stesso tempo sento il bisogno di ingoiare la saliva che non ho. È una sensazione bruttissima, sono costretta in un tubo che impedisce ogni movimento, ma la cosa peggiore è che non posso respirare bene né deglutire. Cosa faccio a questo punto? Una cosa mai fatta in tanti anni di risonanze, muovo la testa, non voglio ma lo faccio, piano piano, poco per volta ma lo faccio. È strano, il tecnico non mi dice niente, io mi sforzo di inghiottire e respirare senza muovermi ma proprio non ce la faccio, tengo il campanello ben stretto nella mano sinistra; sembra dirmi: "che aspetti? Suonami, non vedi che stai male? Suonami!!".
Ma non cedo, non devo cedere, con grande forza di volontà tengo duro, intanto il tempo scorre lentissimo, scandito dai rumori della macchina, din din din din, e poi più forti sempre più forti, don don don don, e così via, quanti minuti saranno già passati mi chiedo? 20, 30? Boh, non mi rendo conto ma so che ancora non é stato mandato il liquido di contrasto e dunque l'esame è ancora di là dal terminare. Sono persa in questi pensieri quando sento la voce del tecnico che dice:" signora, come mai si sta muovendo molto?"
E io: "lo so che mi sto muovendo ma non riesco a respirare né a deglutire, non è colpa mia, proprio non riesco!" Lui: " faccia una cosa, respiri e deglutisca quando sente il macchinario fermarsi, ora però dobbiamo rifare l'esame!" Panico!!! Dobbiamo rifare l'esame? Peggio per me così imparo a muovermi! Da quel momento ho cercato di concentrarmi sul respiro e di fare come mi aveva suggerito il tecnico ma non so neppure io come sono riuscita a portare a termine l'esame, quando ho sentito il tecnico aprire la porta della saletta che lo separa dalla stanza della risonanza e venire verso di me per tirarmi fuori da quella specie di bara, gli sarei saltata addosso dalla gioia.