La paura ritorna: parte 2

La paura ritorna: parte 2

  • di Redazione
  • 14 Novembre 2017
  • Rita, poesie e non solo

Racconto a puntate: parte 2

Seconda ed ultima puntata del racconto della nostra magica Rita Meleddu

I  volontari dell'ospedale a nome dell'associazione di cui fanno parte, regalarono ai pazienti ricoverati una tovaglietta per la colazione  e e dei cioccolatini. Un piccolo gradito cadeau, così che anche in ospedale si potesse percepire l' aria natalizia. Anche mia cognata regalo' dei cioccolatini a mio marito. Senza tovaglietta però.  Evidentemente non sa cucire.  Deve essere peggio di me. Ora mio marito stava poco bene per non dire che stava molto male. E dunque era  forse in grado di mangiare i cioccolatini? No e perciò non li ha visti neppure di striscio. Ma noi sì.  E non solo di striscio. Era un peccato non mangiarli. Lui non c' era in casa e io faccio spesso mio il detto " Chi c'è, c'è...

Dopo questa divagazione, torno alla mia convocazione in ospedale. Dicevo che vista l' ora tarda, l'ospedale era quasi vuoto. Il dh al mattino è strapieno. Tantissimi pazienti. Un brusio continuo . Gente che va, gente che viene. Il display che chiama i pazienti e li indirizza all' accettazione prima e ai vari ambulatori poi. Insomma c'è movimento.  E il rumore e il movimento allontanano o per lo meno disturbano i cattivi pensieri.  Quel tardo pomeriggio invece era peggio di una landa deserta.

Forse e senza forse non c' erano più di quattro pazienti in attesa. Tutti gli ambulatori erano fermi tranne quello della mia dottoressa che ogni tanto chiamava una paziente. Gli addetti alle pulizie erano all' opera e in tutto quel silenzio si sentivano solo loro. C' era qualche infermiere e una persona cercava di prendere un caffè alle macchinette. Osservavo  questa scena come se non ne facessi parte.  Non avevo voglia neppure di una cioccolata. La paura fa così...

Tuttavia non perdevo di vista il motivo per cui ero lì. Che dovrà dirmi?  Che sarà successo? Ci sarà stato ancora un peggioramento? Significativo peggioramento  intendo.  
Me la cantavo e me la suonavo da sola. Sarà per questo, sarà per quello...

I se e i ma non portano a nulla se non supportati dai fatti. Sarà meglio che mi metta l' anima in pace.  Quando mi chiama saprò.   Mio marito faceva finta di essere tranquillo ma era palese che non lo era. Io ormai ero nel mio mondo. Il mondo delle persone che attendono una condanna. E non è un bel mondo. La positività che mi contraddistingue è stata più volte fiaccata dalla ragione.  La ragione non ama la fantasia ma la realtà.  E la realtà è spesso dura. Con occhi che non vedevano e orecchi che non sentivano ogni tanto facevo visita al bagno. In mezz' ora almeno cinque volte.  E senza danza Maori.

Questa si chiama fifa! A un certo punto come emergente dal nulla, passa la mia oncologa.  Ma lei non mi guarda. Del resto la mia dottoressa anche quando passa fra cento persone è come se fosse sola. Forse non vuole vedere tutta quell' umanità sofferente e talvolta rompiscatole .  Mi avrà vista? E se mi ha vista, avrà capito che me la sto facendo sotto? 
Ancora due pazienti e finalmente saprò...

Tre ore prima ero serena ( diciamo così) e ora sto forse per precipitare in un incubo ancora più orribile di quello nel quale già sto. So bene della repentina evoluzione in peggio del cancro. Eppure non mi sembra di stare così male.  Come ho detto, gli altri ambulatori non chiamavano più pazienti, immaginavo quindi che fossero vuoti, invece piano piano escono le oncologhe. Chissà che stsvano facendo. So bene però che il fatto chw non ci siano pazienti da loro non vuol dire che non stiano lavorando. 

Lasciano gli ambulatori alla spicciolata. Le conosco tutte, sebbene non si occupino di me né della mia patologia specifica . Mi salutano e mi verrebbe voglia di avvicinarmi e dire a ciascuna di loro " ho paura, e prima che sia troppo tardi( ormai mi sento con un piede nella fossa) vorrei salutarvi e ringraziarvi.  È vero, non mi avete mai nemmeno visitata, ma siete state per tanti anni una presenza confortante per me. Voi magari non mi avete notato sempre. Sono un po' come la tappezzeria.  Faccio parte dell'arredamento.  Ora è il momento di dirci addio.  Sono prossima alla fine e magari non vi vedrò più.  Anzi, diciamo le cose come stanno, non mi vedrete più."  E come canta Giusy Ferreri con la sua voce singhiozzante che fa venire l' ansia solo a sentirla, e fa venire voglia di darle un colpo sulle spalle o farle prendere un grosso spavento per farla tacere, come canta Giusy Ferreri, dicevo " Non è un piccolo particolare" .

Invece non mi avvicino alle oncologhe per salutarle un'ultima volta, anzi mi ritrovo a osservare il loro modo di camminare e di muoversi.  Ogni persona ha un modo di camminare e di muoversi che lo caratterizza.  I medici pure. E così c'è chi cammina tenendo il capo leggermente reclinato, chi strascicando i piedi, chi camminando a piccoli passi. Chi canmina veloce,  chi ti guarda in faccia. Chi ti saluta, chi no. Chi sembra che tutti siano in debito verso di lui. Ecco osservavo e finalmente sorridevo tra me e me quando finalmente anche l' ultima paziente della dottoressa lascia l'ambulatorio e lei mi chiama.  " Vieni Rita".  Entra anche mio marito, segno che ci siamo davvero spaventati.  E lei calma  e serafica" Come stai?" .

Io " Dipende da quello che ha da dirmi". E lei " Niente di che, non c'è motivo di spaventarsi". In effetti il motivo c'è eccome, però quelle poche parole che aspettavo e che sapevo che avrebbe pronunciato bastano a tranquillizzarmi. Del resto ho o no l'oncologa più brava del mondo?