L'avventura continua...

L'avventura continua...

  • di Redazione
  • 7 Aprile 2020
  • Rita, poesie e non solo

Continua l'avventura della magica Rita Meleddu che ci regala la seconda parte del suo nuovo racconto per la rubrica "Rita, poesie e non solo" 

Dunque la scorsa settimana avevo concluso il racconto dicendo che ero stata molto male e la domenica non sapendo dove andare a sbattere la testa, avevo chiamato il mio medico di famiglia e gli avevo spiegato tutto. Il mio medico dopo avermi fatto alcune domande sui sintomi decide di chiamare un'ambulanza perché chiaramente nelle mie condizioni non potevo stare a casa. Mi sento già più tranquilla e mi dispongo all'attesa. Intanto il mio medico mi richiama per dirmi che ha chiamato l'ambulanza, e a breve sarebbe arrivata a casa. Fortunatamente è la prima volta in vita mia che ho bisogno dell'ambulanza e non so quanto breve debba essere l'attesa. Cominciano a passare i minuti, poi passa mezz'ora, poi un'ora e dell'ambulanza ancora nessuna traccia. Ecco che mi chiama nuovamente il mio medico e si dice stupito di questa cosa, mi consiglia a questo punto di aspettare ancora un quarto d'ora e poi richiamare noi il 118. Così facciamo, mio marito richiama, poi mi passa l'operatrice che vuole sapere dei sintomi. Spiego tutto, e le faccio presente che l'ambulanza sarebbe dovuta arrivare da un bel pezzo, lei mi risponde che non le risulta nessuna chiamata. 

"Come nessuna chiamata?" faccio io, " ha chiamato il mio medico e gli avete assicurato che avreste mandato un'ambulanza al più presto".
"Vabbè, mi dice, l'ambulanza gliela mandiamo ora, mi descriva i sintomi" E come da me immaginato e temuto, non appena accenno al fatto che avevo una leggera febbre e difficoltà respiratorie, l'operatrice (secondo me) fa l'equazione, sintomi respiratori e febbre=Coronavirus.  Sono sicura che ha pensato così. Anche perché a un certo punto dice:"ah, ecco la chiamata del suo medico , ora vedo",  e se ne esce in tono inquisitorio: "perché non mi ha detto che è stata a Milano?" Il mio medico quando aveva chiamato il 118,  aveva giustamente  fatto presente anche questo fatto, anche se a onor del vero, c' ero stata 40 giorni prima.  E io candidamente: "perché lei non me lo ha chiesto!". Cercavo anche di spiegarle che ho un tumore metastatico e che quindi secondo me i miei malesseri dipendessero da quello, ma sempre a me è sembrato che desse poca importanza a questo e fosse sempre a mio parere più orientata su quello che in questo momento temiamo tutti. Mi dice, anche questo ampiamente previsto che mi avrebbero portato al Santissima Trinità a Cagliari, ospedale dove vengono ricoverati i pazienti contagiati dal Coronavirus o comunque pazienti sospetti. Questa cosa non mi piaceva per nulla, mi vedevo già messa insieme a sospetti e contagiati, in una specie di Lazzaretto insomma, anche se voglio sperare che non sarebbe stato cosi, e pronta a prendermi chissà cosa, ma naturalmente non ero in grado di decidere cosa era meglio per me in quel momento. O meglio io avevo le idee chiare su come stavo e cosa potevo avere, ma naturalmente non potevano saperlo gli altri e bisognava escludere certe opzioni. Ad ogni modo pur non felicissima del fatto che mi avrebbero portato a Cagliari, ero sollevata dal fatto che finalmente sarebbe giunta un'ambulanza medicalizzata a casa, e ricimincia l'attesa. E  aspetto...aspetto...aspetto...

Un'altra ora ho dovuto aspettare, ma poi alla fine come Dio vuole l'ambulanza è arrivata. Mio marito si affaccia per farli entrare, e il medico annuncia:"arriviamo subito, ci stiamo vestendo" "qui  la cosa è piu seria di quanto pensassi, mi dico" e aspetto che entrino in casa. Nel frattempo mi ero fatta portare giù il famoso trolley delle emergenze, quello che tengo sempre pronto in vista di un probabile ricovero, e che è andato e tornato dall'ospedale almeno una quindicina di volte in questi anni, ma questa volta mi sa proprio che ci siamo, non farà un viaggio a vuoto. Come ho raccontato la scorsa volta, non riuscivo più a fare un paio di passi senza dovermi fermare, non potevo camminare, né stare sdraiata perché mi sentivo morire, stavo invece benino se stavo seduta, e non potendo far nient' altro, mi ero messa a leggere, nella fattispecie leggevo un giallo di Agatha Christie, o meglio cercavo di leggerlo, perché come si può capire, la concentrazione era scarsa. Stavo appunto leggendo quando entra il medico in casa, che deve aver pensato che male male non dovessi stare visto che me ne stavo seduta sul divano come la principessa sul pisello, a leggere. Pensandoci ora la scena aveva del comico. Il medico non potendo sapere con cosa e con chi  avesse a che fare, è rimasto fermo sulla soglia di casa, ad almeno 4 metri da me, ed è rimasto immobile per alcuni secondi, io che leggevo tranquilla, mio marito nel mezzo,  sembrava che eravamo tutti capitati lì per caso, era una scena irreale, e invece, era vera e stava succedendo a me. Il medico non indossava per la sua sicurezza la  famosa tuta bianca che siamo abituati a vedere alla televisione,  indossata dagli operatori sanitari che curano i contagiati dal Coronavirus, ma indossava la camiciola verde che si usa quando si fanno certi esami, o quando si fa la preparazione a un intervento chirurgico, ma che certo non riparano da un eventuale contagio. Indossava la mascherina verde e mi pare degli appositi occhiali o una sorta di maschera".  " Guardi in che condizioni stiamo lavorando..." dice, e io penso che veramente sono degli eroi, lui e tutto il personale medico e paramedico.  Mettono a rischio la loro incolumità per il bene del prossimo.

Ora il medico mi fa diverse domande e quando gli dico della mia patologia e gli spiego che ho un versamento pleurico che secondo me mi provoca tutti quei sintomi, rompe gli indugi, e senza porre tempo in mezzo mi si avvicina e mi visita. Constata la presenza del versamento, mi controlla la saturazione, ossia la presenza di ossigeno nel sangue, che io ho avuto sempre perfetta (98) nonostante la malattia, e che il giorno avevo invece a 85,  e che chiaramente indicava una difficoltà respiratoria. La pressione arteriosa misurata più volte, segnava sempre 185/130, ma io che da anni l'ho perfetta, non ho i sintomi tipici dell'ipertensione, ossia capogiri, mal di testa, nausea, quindi bisogna capire cos'è che l'ha provocata. A questo punto si decide di portarmi all'ospedale, si, ma dove? Lui sa benissimo che mi deve portare a Cagliari, ma quando gli dico le mie paure riguardo quell'ospedale, si dice d'accordo con me sul fatto che forse starei meglio nell'ospedale che si trova nel paese vicino al mio, è certamente più tranquillo, con pochissimi ricoverati, ma non può garantirmi certe cure se necessarie come invece il Santissima.  Insomma era combattuto, e pure io dico il vero, non ho preso alla leggera ciò che mi stava accadendo, ero ben consapevole che la situazione era molto seria. Il  medico consulta nuovamente gli operatori  del 118, almeno immagini che parlasse con uno di loro, e dopo un po' di contrattazioni, loro insistevano affinché venissi accompagnata al Santissima, si decide di portarmi nell'ospedale a me più vicino.  Ricordo di aver detto al medico: "portatemi prima a Isili, se proprio non posso stare lì, mi portate a Cagliari".  Non potevo certo ribellarmi alla scelta che ritenevano più giusta.

Ora che tutto è deciso si può finalmente partire, mi copro con un plaid, erano circa le 19, ed era piuttosto freddo, mi porto appresso 2 libri, e meno male, avrei avuto poi di che leggere in ospedale, e mi appresto a uscire. Il medico mi chiede se sono in grado di scendere le scale altrimenti avrebbero portato su una sedia, "si, rispondo, credo di farcela a scendere". Invece dopo 2 o 3 gradini mi devo fermare, sempre a causa del grande senso di oppressione che mi attanagliava, e per la mancanza di respiro. "Piano Rita" , mi dicono il medico e l'infermiere che nel frattempo era entrato in casa, e mi aiutavano a scendere le scale, "non si agiti" "Non sono agitata"  dico, "sono contenta che mi state aiutando". Qualcosa mi faranno pensavo dentro di me, non avevo motivo di aver paura. Gradino dopo gradino, alla fine anche se a fatica raggiungo l'ambulanza, riesco a salirci, vengo fatta sedere, non potevo stare sdraiata, al solo pensiero mi sento male, e subito mi danno l'ossigeno. È incredibile, non appena attaccato l'ossigeno, sono stata subito meglio, ho sentito una piacevole aria umida entrare nel mio naso e raggiungere i miei bronchi e polmoni dandomi un immediato senso di benessere, li ho sentiti aprirsi nuovamente, e ho sentito la vita tornare in me... una sensazione bellissima.  Ecco, ora sono ancora più serena. Ho portato con me un po' della mia documentazione clinica, mio marito preoccupatissimo ci segue con la macchina, finalmente partiamo verso il pronto soccorso, il viaggio è breve, ma procede lento, senza fretta.  Arrivati a destinazione vengo accompagnata verso una postazione diversa dal pronto soccorso, devo fare un brevissimo tratto a piedi per raggiungerla, ma devo fermarmi alcune volte perché la costrizione che avverto è terribile.  Quando alla fine arrivo, rimango in affanno per alcuni minuti. Cosa avverrà di me ora? Il medico e l'infermiere che mi hanno accompagnato e che ringrazio ancora insieme all'autista dell'ambulanza per quanto hanno fatto per me, mi salutano e mi augurano buona fortuna, ora vengo presa in consegna da un altro infermiere altrettanto gentile e bardato come loro.  Cosa succede a questo punto? Riuscirò ad accedere al Pronto Soccorso? Se avrete la pazienza di aspettare una settimana e se soprattutto lo volete sapere, vi do appuntamento alla prossima settimana!