

Ansia da esami e interventi vari
- di Redazione
- 29 Ottobre 2019
- Rita, poesie e non solo
Ritorna l’atteso appuntamento del martedì con la rubrica "Rita, poesie e non solo"
Come forse ormai saprete, non sono mai stata operata, in quanto la malattia era già avanzata fin dall' esordio. Sarà stato un bene, sarà stato un male? E chi lo sa, io intanto, pur molto acciaccata sono ancora qui, ma nel corso di questi lunghi anni ho potuto trattare il tumore con altri interventi mirati se non a toglierlo, almeno a rallentarlo. E così nel 2010 e poi nel 2011 ho potuto praticare la crioablazione, che è una procedura che sfruttando il freddo porta alla morte del nudolo attraverso il congelamento. È una tecnica indolore ( si pratica in anestesia locale ), non ci sono incisioni chirurgiche, ma si raggiunge il tumore per via percutanea, attraverso dei lunghi aghi ( i crioaghi ) che appena lo infilzano inviano del gas argon ( un gas freddo ), avvolgendolo col ghiaccio. Dopo circa 8 minuti, se non sbaglio, sempre attraverso gli aghi si manda il gas Elio ( si chiama come mio marito e all'epoca questo suscitò grande ilarità ), che scongela la massa tumorale precedentemente avvolta dal ghiaccio, si aspetta un po' e poi per una seconda volta si ripetono le operazioni. Tutto questo si svolge sotto guida tac e questa procedura è continuamente monitorata. Allora avevo poche prospettive di cura se non la chemio, il farmaco biologico e la terapia ormonale. Cioè avevo alcune armi, ma la chirurgia, che rimane ancora la via più giusta per estirpare completamente il tumore, non faceva per me. Non mi sono data per vinta, e informandomi un po' qua e un po' là, venni a sapere che al Businco lavorava un medico radiologo interventista e che già da tempo, praticava la crioablazione, la termoablazione e la cementoplastica. A me interessava la crio, ma bisognava vedere se era fattibile per me. La mia oncologa di allora ne parlò in collegiale con il dott. Pusceddu che è colui che pratica queste procedure. Egli mi convocò pochissimi giorni dopo per una consulenza e quando vide la cute del seno sinistro invaso dal tumore ( il destro era già scomparso a causa della malattia e delle cure ), e quella del torace integra, decise che si poteva fare. Ringrazierò per sempre dott Pusceddu. Io mi sentii subito rinascere e, come sempre mi accade, mi buttai a capofitto in questa avventura. Non mi importava se avrei dovuto soffrire molto, mi interessava cercare di eliminare quanto più possibile la malattia. Ma fra il dire e il fare...
Dunque, dopo le visite preparatorie, arrivò il fatidico giorno del ricovero. Ma la mia felicità...mi sentivo già guarita, e aspettavo con impazienza che mi chiamassero per procedere. Non appena mi assegnarono il letto, me ne impossessai, indossai il mio bel pigiamino sistemai le mie cose e mi feci fare una foto da mio marito. Non mi sembrava vero che ci fosse una piccola speranza per me. Mesi prima per ben 2 volte c' era stata la probabilità di essere operata. Ma la cosa non si era mai concretizzata. Sottoposta a esami vari, un chirurgo disposto a opermarmi, poi arrivati al momento clou, si vedeva per l'ennesima volta che non avrei mai potuto usufruire della chirurgia. Ma provate a immaginare lo stress psico fisico a cui ero stata sottoposta. Illusa e speranzosa (sono due cose diverse) di poter essere operata, mi ero dedicata a tutti i preparativi, in vista di una lunga convalescenza. Avevo sistemato la casa come se fossi dovuta partire per sempre, preparai tanti cibi da congelare per la famiglia, perché era chiaro che dovendo fare un intervento così demolitivo e importante, non sarei stata in grado di fare alcunché.
Insomma, feci un lavoraccio, tutto uno stress e poi il nulla. Comunque, ora ero finalmente a un passo da fare qualcosa di concreto per me. Il giorno del ricovero dovevo fare ancora qualche esame, poi il giorno dopo si sarebbe fatto ciò che si doveva fare. Feci amicizia con la mia vicina di letto e chiaccherai come se non ci fosse un domani. Chi mi conosce non stenta a crederlo. Passai la giornata dell' attesa con tanta gioia e energia. Poi arrivò il gran giorno. Avrei voluto essere la prima a fare la crio, in modo da togliermi di mezzo quello che stava cominciando a procurarmi ansia, e invece prima di me toccò a 2 signore, una delle quali era la mia vicina di letto che doveva fare la termoablazione al fegato, e che, scesa in sala operatoria a metà mattina, tornò in camera molto tardi. Io però, seppure ormai già un po' ansiosa, ero tuttavia ancora molto giuliva e parlavo con la figlia della signora che divideva con me la camera. Mi ero portata da casa pinzette e specchietto e cominciai a modellare le sopracciglia che ancora avevo e a togliere i baffetti. È sempre bene presentarsi in ordine ad ogni appuntamento fosse anche una crioablazione. La figlia della mia compagna di stanza si diceva molto stupita della mia loquacita', non tacevo un attimo e parlavo di tutto di più. Certo, forse era un modo di non pensare a quello che di lì a poco mi aspettava. Intanto, però, la signora della termoablazione non tornava e l' ansia che si stava insinuando in me, crebbe fino a esplodere improvvisamente. Che ci faccio io qui, mi chiedevo? Aiuto, salvatemi, voglio andare via di qui, sì, voglio tornare a casa, mi tengo il tumore e vada come vada, sì, ma se me ne vado siamo al punto di prima. Ma come ero così serena e felice fino a poco prima. A un certo punto tutta la mia voglia di parlare venne a mancare; mi sdraiai sul letto in attesa che mi venissero a prendere e non proferii più verbo. Una paura irrazionale cominciava a farsi strada in me, come sarebbe andato l' intervento? Cosa mi sarebbe accaduto, e avrei sofferto? A tutte queste domande che fino a pochi minuti prima non mi avevano neppure sfiorato la mente, non trovavo risposta. Mio marito vedendomi immobile che neanche fossi morta, e stranamente taciturna, non sapeva se ridere o preoccuparsi, ma c' era poco da ridere e da dire, io ero in trepida attesa e chissà che cosa ne sarebbe stato di me di lì a poco. Non solo non pensavo di certo a parlare, neppure potevo. Avevo la gola secca e la lingua pareva attaccata al palato. Non so neppure se pensavo a qualcosa, il terrore si stava impossessando di me, sì, proprio di quella che fino a una mezz' oretta prima si dedicava a farsi bella. A un certo punto, si aprì la porta della camera, fece rientro la signora e gli infermieri che l' accompagnavano mi dissero di tenermi pronta che a breve sarebbe toccato a me. Tirai un sospiro di sollievo, tanto per darmi un contegno, ma giuro che mentre scendevo in ascensore verso la radiologia avevo l' espressione che ha un condannato al patibolo. E meno male che non avevo paura io. L' eroica, la temeraria, l' impavida, l'intraprendente in quel momento era una cagassotto come tutti. Per fortuna, però, andò tutto bene, non sentii alcun dolore, mi tornò la parola come a una miracolata e non tacqui un momento per tutto l'intervento.