Scoperta una proteina che protegge dal tumore mammario

Scoperta una proteina che protegge dal tumore mammario

  • di Redazione
  • 29 Aprile 2017
  • Italia ed estero

Uno studio italiano coordinato dalla professoressa Paola Defilippi del dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell'Università di Torino, in collaborazione con la Città della Salute di Torino, ha scoperto una proteina in grado di opporsi alla progressione del tumore e proteggere le donne da esso.

I risultati della ricerca, che sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica internazionale "Nature Communication", hanno individuato e caratterizzato un meccanismo di protezione dagli effetti dannosi dell'onvcogene ERBB2. Questo effetto protettivo garantirebbe alle pazienti una maggiore possibilità di sopravvivenza ed un minor rischio di metastasi, il tutto grazie alla presenza della proteina p140Cap.

Questa proteina è espressa in circa il 50% delle pazienti affette da tumore ERBB2, risultato che individua un nuovo marcatore predittivo in questa patologia. Inoltre, sperimentalmente con modelli cellulari, sono stati dimostrati alcuni dei meccanismi attraverso cui p140Cap è in grado di limitare la crescita del tumore ERBB2 e di diminuirne le capacità di dare origine a metastasi. Questi dati sorprendenti serviranno a sperimentare nuove terapie per le pazienti che non esprimono la proteina p140Cap e sono soggette a tumori più aggressivi.

Le recenti statistiche indicano che il tumore mammario colpisce una donna su sette. Nel 20% dei casi questo è caratterizzato da una eccessiva quantità della proteina ERBB2 (anche nota come HER2), causata dall'aumento del numero di copie del gene che la codifica sul cromosoma 17. ERBB2 causa il tumore perché aumenta la proliferazione cellulare in modo non controllato, sostiene la sopravvivenza delle cellule tumorali e favorisce la loro capacità di uscire dal tumore primario, dando origine alle metastasi in altri organi. Per questi motivi è definita "oncogene".

Questo recente lavoro, che apre la strada a delle possibili nuove terapie, è frutto di una collaborazione tra Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell'Università di Torino, Città della Salute di Torino, IEO/IFOM di Milano, Università di Chieti-Pescara, Università di Camerino, Arcispedale di Reggio Emilia e l'Università svedese di Lund.