Riabilitazione oncologica, tanto importante quanto sottovalutata

Riabilitazione oncologica, tanto importante quanto sottovalutata

  • di Redazione
  • 11 Aprile 2023
  • Italia ed estero

Non solo prevenzione del linfedema, nella riabilitazione oncologica per le donne con tumore al seno, ma anche supporti per altri effetti di carattere psicologico e sociale dovuti alle terapie. 
La riabilitazione oncologica, infatti, consiste nel garantire al paziente le funzionalità (fisiche, psichiche e sociali) che aveva prima della malattia. È un percorso che ha inizio col momento della diagnosi, non quando la malattia non c’è più. Altrimenti la persona guarita non lo sarà per davvero.
In Italia oggi circa 3.600.000 persone vivono con una pregressa diagnosi di tumore e 1.100.000 e sono guarite. Purtroppo, la riabilitazione non è una prestazione essenziale nel nostro paese infatti non è inserita nei LEA (Livelli essenziali di assistenza ovvero le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale fornisce). Se qualche PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) la contempla è solo per volontà della singola azienda sanitaria o ospedale e cambia di regione in regione.

Il Piano Oncologico Nazionale 2023-2027, spiega che le problematiche riabilitative per i malati di cancro possono derivare non solo dalla malattia in sé, ma anche dai trattamenti terapeutici disponibili (chirurgia, chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici), per cui è necessario predisporre un programma personalizzato che tenga conto dei diversi aspetti dei possibili deficit funzionali. Sempre secondo il Piano Nazionale, la guarigione intesa come completo recupero fisico, psichico e sociale, il raggiungimento dell’autonomia relazionale e il reinserimento occupazionale dei pazienti guariti o dei cronicizzati fin quanto possibile, costituiscono obiettivi non solo di politica sanitaria, ma del welfare in generale. Per questo la riabilitazione deve essere a 360° e volta al reinserimento completo della persona nella società.
Prima di arrivare al Piano Oncologico Nazionale, FAVO ha realizzato nel 2008, con la partecipazione di SIMFER AIOM, SIPO, CE.Ri.ON e dei principali IRCSS in Italia (IST Genova; Regina Elena Roma, Rete oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, Fondazione Maugeri Pavia) il primo Libro Bianco della riabilitazione oncologica. I principi ribaditi in questo documento sono stati recepiti nel 2011 dal Ministero della Salute. Ma la riabilitazione è riconosciuta anche all’interno del Piano europeo di lotta contro il cancro, che mira non solo a garantire che i pazienti oncologici sopravvivano alla malattia, ma che vivano una vita lunga e soddisfacente, senza discriminazioni e ostacoli iniqui.

Tumore al seno

Il tumore al seno è la più frequente neoplasia femminile: in Italia nel 2022 sono stati diagnosticati 55.700 nuovi casi. Si tratta anche della prima causa di morte per tumore nelle donne, ma è anche quello con maggiori tassi di guarigione: a un anno dalla diagnosi il 96% delle donne è ancora vivo, mentre l’87% supera la barriera dei fatidici 5 anni. Le probabilità di guarigione, inoltre, aumentano in caso di diagnosi precoce. Ad oggi in Italia vivono quasi 800.000 donne che in passato hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno.  Paola Varese, presidente del comitato scientifico FAVO (Federazione Associazioni di Volontariato in Oncologia), ha spiegato per Fondazione Veronesi Magazine: «Nell’ambito oncologico sarebbe più corretto parlare di ri-abilitazione perché si attiva fin da subito, dalla diagnosi alla terapia, e anche durante le cure palliative. Non esiste una riabilitazione fisica, o psichica, ma è tutto integrato, per questo si parla di riabilitazione bio-psico-sociale. In riferimento all’oncologia va sottolineato che la malattia può manifestarsi in modo molto diverso: un tumore al seno può essere localizzato solo nell’organo o produrre metastasi, da qui possono derivare conseguenze diverse sull’organismo della donna, che determinano esigenze riabilitative a loro volta differenti». Le donne che hanno ricevuto una diagnosi di tumore alla mammella spesso sottovalutano aspetti come il mantenimento dell’integrità del seno. E chi si trova nella fase di cure palliative crede sia tutto inutile. Non è così, la riabilitazione serve in ogni fase.

«Per decenni la riabilitazione per le donne con tumore al seno è consistita solo nel trattamento del linfedema del braccio interessato dall’intervento originale di asportazione del tumore» sottolinea Varese.
Dopo l’intervento di asportazione del tumore al seno può presentarsi un linfedema al braccio, uno degli effetti collaterali più frequenti e temuti del trattamento di questo tumore e che colpisce più di una paziente su 3. Esternamente, il linfedema è caratterizzato da un gonfiore del braccio, tuttavia le pazienti riferiscono anche altri sintomi come pesantezza, senso di oppressione e dolore al braccio, che possono variare di intensità.

Prevenire il linfedema fa parte della riabilitazione oncologica del tumore al seno, come spiega l’oncologa:
 «Esistono dei fattori predittivi del linfedema come ad esempio l’obesità, l’interessamento linfatico e la radioterapia. Per questo in alcuni casi selezionati si può fare un intervento chirurgico per evitare l’insorgenza del linfedema, e va fatto contestualmente a quello per rimuovere il tumore. Anche perché in alcuni casi il linfedema può presentarsi dopo dieci anni. Per fare in modo che non insorga, se non ci si è sottoposti all’intervento, si possono adottare diversi accorgimenti come evitare ustioni, movimenti bruschi che tirano le ascelle. Mentre attività come lavare i vetri possono aiutare a prevenire l’arrivo. Nelle donne con obesità un fattore di prevenzione può essere la perdita di peso e in questo senso è da favorire la dieta mediterranea». 

Ma esiste anche un dopo di cui poco si parla, come i sintomi dovuti alla terapia ormonale o alla menopausa indotta, utilizzate come cura di mantenimento in alcuni tumori ormono responsivi. Questi trattamenti causano spesso secchezza vaginale, calo del desiderio sessuale e quella che viene definita fatigue, una stanchezza cronica ed estrema che può inficiare la vita quotidiana. La secchezza vaginale oggi si può superare con poche applicazioni di laserterapia, ma questo trattamento non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. «Occorrerebbe fare anche più informazione su questo tema – riprende Varese - perché la secchezza intima può causare bruciore, sintomo che viene scambiato per cistite, portando le donne ad assumere erroneamente antibiotici, andando quindi a peggiorare un problema di salute pubblica già devastante come l’antibiotico resistenza».

Per quanto riguarda la stanchezza, un potente rimedio è l’esercizio fisico, che per fortuna non costa nulla, ma non si può improvvisare: «Sembra un paradosso, ma per combattere la fatigue bisogna praticare attività fisica, se possibile affiancati non tanto da un fisioterapista ma un educatore in scienze motorie. Fa anche bene camminare per trenta minuti al giorno. La cosa importante è svolgere attività aerobica. È stato dimostrato, infatti, che questo tipo di esercizio fisico aumenta la soglia del dolore, migliora la qualità del sonno e riduce il grasso addominale, dove si producono le citochine proinfiammatorie che sono alla base dei dolori articolari», ha aggiunto l’esperta. Le endorfine rilasciate durante l’attività fisica hanno anche un importante effetto positivo sul sistema immunitario e sull’umore.

L’umore ed il proprio equilibrio psichico sono fondamentali. Infatti la riabilitazione psicologica va iniziata fin dalla diagnosi, per cercare di contenere od evitare ansia, depressione, disturbi del sonno, tutte condizioni che possono insorgere quando si riceve una diagnosi del genere e possono limitare in modo pesante la vita delle persone. Attivare il supporto psicologico serve anche per limitare gli accessi al pronto soccorso e, pertanto, diminuire i costi per il SSN. «Offrire supporto psicologico a una persona con cancro diminuisce del 25% gli accessi al pronto soccorso e del 5% i costi di assistenza sanitaria -spiega su Fondazione Veronesi Magazine l’Avvocato Elisabetta Iannelli, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana per "l’impegno profuso nella tutela dei diritti dei malati oncologici e nella difesa della loro qualità di vita" – ma ad oggi purtroppo la riabilitazione non viene considerata come strumento efficace anche per sostenere il SSN. La riabilitazione è un investimento, non è un costo, ma è un concetto ancora difficile da far passare».

Riabilitazione Sociale e Diritto all’Oblio

Una donna con figli e in età lavorativa ha assoluto bisogno di continuare a svolgere la propria professione o intraprenderne una nuova. Per farlo occorrono gli assistenti sociali e tanta informazione in modo che le donne sappiano se hanno o meno un’invalidità oncologica e possano, di conseguenza, accedere ad agevolazioni. Ma bisognerebbe fare informazione anche ai datori di lavoro per sapere quali soluzioni adottare. È quello che si definisce accomodamento ragionevole, un tema che parte dai concetti di uguaglianza per i lavoratori con disabilità adottati nella Direttiva 2000/78/CE del Consiglio Europeo e nella Convenzione ONU su diritti delle persone con disabilità del 2006. Nel 2015 la Legge 68/99 (Norme per il Diritto al Lavoro dei Disabili), è stata integrata con l’introduzione del Decreto Legislativo (151/2015), che conferisce all’accomodamento ragionevole il ruolo di misura per colmare l’assenza di azioni dedicate all’integrazione lavorativa delle persone con disabilità. Stiamo parlando di soluzioni come smart working, part-time, e altri tipi di agevolazioni che possono aiutare la persona a rimanere produttiva – sottolinea Iannelli - il lavoro è una parte fondamentale della riabilitazione e la persona con una malattia oncologica, in follow up o guarita, è molto motivata a tornare a lavorare e può portare un’esperienza preziosa». 

Nell’ambito della riabilitazione, non si può ignorare il diritto all’oblio che permetterebbe al paziente guarito di non dichiarare la malattia, pratica oggi obbligatoria per la stipula di molti contratti e la richiesta di alcuni servizi.
Alcuni paesi europei, come Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo, sono già avanti con leggi che disciplinano il diritto all’oblio, garantendo ai loro cittadini un futuro libero dallo stigma della malattia oncologica. La Fondazione AIOM ha portato avanti una campagna per sensibilizzare la nostra magistratura raccogliendo 105758 firme. 
Secondo quanto afferma AIOM, per il tumore alla mammella possono volerci 20 anni per considerarsi guariti, questo perché questo tipo di neoplasia è molto comune e può ripresentarsi nel corso della vita. Nel dettaglio, la legge per il diritto all’oblio permetterebbe di non considerare più paziente oncologico:

  • Chi ha avuto un tumore solido in età pediatrica, dopo 5 anni dal termine delle cure;
  • Chi ha avuto un tumore solido in età adulta, dopo 10 anni dal termine delle cure.