

Eclissi
- di Redazione
- 5 Luglio 2019
- La collana di perle di Giulia
La Collana di Perle di Giulia Muntoni si impreziosisce di un contenuto speciale: il racconto col quale Giulia Muntoni si è qualificata terza al Concorso Donna Sopra Le Righe 2016
Ho passato la vita a guadare fiumi contro corrente. Ogni ferita inferta alla pelle dagli scogli aguzzi mi sembrava un'inevitabile medaglia al valore per il percorso. Non avevo idea di cosa volesse dire amarsi e accettarsi completamente perché ero sempre stata amata con dei limiti. Non erano tanto limiti di sostanza quanto di comunicazione. Ma io questo non lo sapevo. Innalzavo muri ogni volta che gli altri mi sembravano ostili o insensibili o mi giudicavano, perchè pensavo che, in fondo, avessero ragione. Non ero mai abbastanza, non facevo mai abbastanza. Non sapevo concedermi la grazia del perdono. Il cancro mi ha salvato la vita. Come altro descrivere l'esplosione da cui si è originato il mio universo, sprigionando la luce che ha acceso, una per una, le mie stelle?
Sono passati due anni e ancora mi sfuggono, dispettose, le parole adatte a quantificare la mia gioia di esserci, o meglio di volerci essere. Ogni volta che faccio un bagno di raggi solari, benedico la luce calda, che è Vita, e che mi trova riconoscente come una figlia che, allontanata ingiustamente dalla propria madre, possa poi sprofondare nel suo abbraccio. L'amore incondizionato verso me stessa mi ha liberata e mi ha permesso di stiracchiarmi al di fuori della mia vecchia armatura. Perchè l'Amore, quello vero, questo fa: rompe gli schemi e colora ogni cosa. Ora sorrido. Con ogni poro della mia pelle segnata ma guarita, sorrido. Perfino con la mia anima, sorrido. Sempre. Non perchè sia sempre allegra, ma perchè so che di inevitabile, dentro a quei vorticosi mulinelli, c'è soltanto la carezza dell'acqua che ti pulisce. E' buffo, ma questo K mi sento proprio di chiamarlo "maestro". Più affronto situazioni quotidiane già incontrate nella mia prima vita e più mi colpisce quanto io sia cambiata. Quanto abbia imparato a proteggere sistematicamente la mia energia, e quindi la mia serenità, da qualunque cosa cerchi di spingerla a compromessi che non mi farebbero bene. E la cosa meravigliosa è che più proteggo Giulia e più le permetto di aprirsi agli altri. Perchè conscia di se' e del suo valore, sa amare meglio.
Ma non è sempre così A due anni di distanza dall'attacco terroristico che ha scelto il mio seno sinistro come obiettivo sensibile, nuove guerre, inesorabili, si alternano a periodi di tregua con ritmo serrato. Il paesaggio che mi si para davanti è stato distrutto e ricostruito innumerevoli volte. Non parlo soltanto del corpo che, seppure stanco e messo a dura prova dalla terapia ormonale, si avvia finalmente a riacquistare le sue forme, e accoglie ogni nuova operazione, dolore e debolezza con una pazienza antica che mi appare interamente Donna. E' la superficialità degli altri, sani o malati, amici o estranei, che spesso ha il potere di rendermi furiosa e mi contrae il cuore in uno spasmo di dolore. Anche se ho conosciuto e superato la malattia, anche se in due anni ho pianto tutte le mie lacrime più di una volta, per ognuna delle coraggiosissime guerriere che ho dovuto salutare per sempre. Una ferita, in fin dei conti, è sempre una ferita e fa male anche su un corpo che abbia conosciuto l'amputazione, anche su un'anima che abbia acquisito la capacità di volare.
Perché se un terrorista o un cancro sono accidenti esterni imprevisti e imprevedibili, quando una persona si rivela diversa da quello che pensavamo c'e' sempre una parte di noi stessi che si sente chiamata in causa, un'ombra che ci perseguita e si aggiunge alla bruciante delusione. Quell'ombra viene da dentro, ha una consistenza familiare: è il nostro errore di giudizio. Una donna diversamente sana non sa essere spietata solo col tumore: è per se stessa che riserva il trattamento più duro. Come possiamo, mi chiedevo, permettere ancora alla vita di srotolarsi colpendoci in testa, come un tappeto lasciato andare da una persona maldestra? Come possiamo noi, donne guerriere che hanno imparato a lottare con un mostro a mani nude, permettere che cose futili ed eteree quanto le nubi abbiano il potere di ferirci, di farci diventare amare, di distrarci dalle meraviglie del creato? Ma non è forse la nostra accentuata umanità, mi sono risposta, a far risaltare l'immortalità del nostro spirito fiero? Non siamo forse più sensibili proprio perché chiamate così spesso ad essere forti, per noi e per gli altri? E' così che sono approdata ad una nuova consapevolezza: sebbene io sia, di fatto, rinata all'incirca due anni e mezzo fa, ci saranno ancora infiniti modi in cui potrò perdermi per poi ritrovarmi. E, dettaglio ancora più fondamentale, le due cose potranno spesso avvenire contemporaneamente.
Non posso mai dare per scontato di sapere chi sono. Non è vero che gli altri ci fanno sentire vulnerabili, umiliati, arrabbiati. Siamo noi a renderlo possibile. Siamo noi che porgiamo il fianco, noi che abdichiamo, in fin dei conti, il potere di stare alla porta della nostra anima e negare l'ingresso a chi non è gradito. E non è vero che siamo liberi. Lo siamo solo nella misura in cui decidiamo di esserlo. La serenità non va urlata, ma offerta in dono. Ora capisco che è come accendere la luce in una stanza buia e affollata: non aiuta soltanto noi a trovare una direzione. Il nostro sole non si era spento, era solo momentaneamente coperto. C'è una fonte di gioia immensa che viene dalla voglia di reimparare continuamente a vedere le stesse cose da angolazioni diverse. Questa nozione mi ha svelato un nuovo concetto di tempo intimamente legato alla mia capacita'di amare: a volte "cogliere l'attimo" ha a che fare con l'attimo che lasciamo andare piuttosto che con quello che afferriamo, rispettando l'apparente lentezza di cui abbiamo bisogno, di cui gli altri hanno bisogno. A volte, se l'amore è Amore, non ha bisogno di nulla, tranne che di essere espresso. Così quando lasciamo spazio e tempo a coloro che amiamo perché possano essere felici sotto il nostro sguardo, saperli amare è la nostra ricompensa. Amiamo meglio quando non abbiamo bisogno di essere ricambiati, quando siamo felici di chi siamo. Spargiamo la nostra felicità perché non ne possiamo fare a meno, perché saperla donare fa bene all'anima. E coloro che si muovono in questo mondo come se avessero tutto il tempo a disposizione, come se essere eterni fosse un diritto e il fatto che ogni notte sopravvivono ad un nuovo giorno non fosse un miracolo, non hanno idea.
Noi tutti non ci rendiamo conto. Anche quando accettiamo la fragilità, il dubbio, il dolore fisico, e crediamo di capire le dinamiche di vita e morte, comunque non abbiamo idea. Di quanto sia sottile il filo a cui siamo appesi. Ignoriamo che i nostri corpi saranno le mappe più accurate che potremo mai consultare. Che ogni livido, ogni cicatrice rimarra' anche quando ormai invisibile, e sarà chiamata in causa quando restituiremo il nostro corpo. E nonostante questo dobbiamo comunque prenderci cura del nostro giardino, è troppo importante. Strappare le erbacce e costruire il recinto, senza garanzie che una tromba d'aria non annulli ogni sforzo domani. Accettare la sfida di restare sani di mente nonostante la pazzia di questa vita. Accettare la siccità e pregare per la pioggia. Accettare il silenzio e la pesantezza del cuore a dispetto del nostro amore per la musica. Sapere che a volte niente serve a niente. E che, se pure troveremo nuova forza nei giorni di gioia, sarà da quelli di tormento che impareremo come sopravvivere.