

Una ricerca italiana studia un Pap test per la diagnosi precoce del tumore ovarico
- di Redazione
- 3 Luglio 2020
- Italia ed estero
Per la prima volta è stata verificata una procedura per la diagnosi precoce del carcinoma dell'ovaio, fino a sei anni prima, attraverso un pap test che impiega nuove tecnologie di sequenziamento del Dna.
Si tratta di una nuova ricerca tutta italiana, pubblicata su Jama Network Open, condotta dall'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano, in collaborazione con l'Ospedale San Gerardo di Monza e l’Università di Milano-Bicocca, con il supporto della Fondazione Alessandra Bono onlus. Lo studio è stato testato su 17 donne e al momento deve essere valutato con molta prudenza in quanto è stato applicato in pochi casi, anche se si punta a effettuare la procedura su un maggior numero di pazienti con gli stessi risultati positivi, 150 nel corso di un anno, in quanto i dati ottenuti sono estremamente convincenti e incoraggianti.
"Si trattava di 17 casi di donne con carcinoma ovarico per le quali è stato possibile recuperare i Pap test fatti in precedenza, inoltre, giocavamo in vantaggio perché sapevamo esattamente quale mutazione cercare grazie a tecniche di alta tecnologia. Ora dobbiamo migliorare ulteriormente la tecnologia con metodiche che siano applicabili più facilmente e su grandi numeri", ha dichiarato Maurizio D'Incalci, direttore del Dipartimento di Oncologia dell'Istituto Mario Negri e a capo di questa ricerca che fa ricorso al Pap Test che viene utilizzato per la diagnosi dell’Hpv (correlato al tumore del collo dell’utero) ma non per il carcinoma dell’ovaio.
"Ovviamente c'è tantissimo lavoro da fare per ottimizzare il test, estenderlo a grandi casistiche e valutare la sua sensibilità e la sua specificità. Abbiamo fatto un controllo interno valutando Pap test di pazienti che avevano un'età simile a quella dei casi studiati con carcinoma ovarico e che sono state operate per patologie benigne ginecologiche ed in nessuna di esse abbiamo riscontrato le mutazioni che troviamo nelle pazienti con tumori ovarici. Questo ci fa ritenere che il test sia specifico, ma evidentemente ci vogliono prove su casistiche molto più ampie", ha indicato Sergio Marchini, che dirige l'Unità di Genomica Translazionale del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri.
L’ipotesi da cui sono partiti i ricercatori si basa sul fatto che dalla tuba di Falloppio dove nascono la maggior parte dei carcinomi sierosi di alto grado dell'ovaio (che sono l'80% dei tumori maligni dell'ovaio) si potevano staccare, fin dalle fasi precoci, delle cellule maligne che, raggiunto il collo dell'utero, potevano essere prelevate con un test di screening come il Pap test. "Il dato più interessante è che abbiamo dimostrato la presenza di Dna tumorale, che deriva dal carcinoma ovarico, in Pap test prelevati in pazienti affette da tumore ovarico anni prima della diagnosi di carcinoma dell'ovaio. Questo ci indica che già 6 anni prima le analisi molecolari messe a punto oggi avrebbero potuto consentire teoricamente di diagnosticare il tumore. Credo che l'applicazione di questo test possa salvare moltissime vite umane", ha dichiarato D'Incalci, che è stato insignito del premio biennale Guido Venosta promosso dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.
Fin dalle prime fasi della trasformazione tumorale, le cellule acquisiscono nel loro Dna delle peculiari mutazioni a carico della proteina Tp53, un gene che funge da guardiano del genoma che una volta alterato guiderà le successive fasi della trasformazione maligna della cellula tumorale. In alcuni casi in cui erano disponibili diversi Pap test eseguiti 6 e 4 anni prima alla stessa paziente, è stata identificata in modo inequivocabile la stessa mutazione clonale della proteina Tp53 che si ritrova nel tumore, e questo rafforza l'idea che si tratti di alterazioni molecolari specifiche che sono alla base dello sviluppo della malattia.
"L’applicazione di questo test potrà permettere di diagnosticare precocemente il carcinoma dell'ovaio. Nelle pazienti che hanno mutazioni di Brca1 o 2, con un'alta probabilità di ammalarsi di carcinoma dell'ovaio, una raccolta prospettica di Pap test è già iniziata e questo ci consentirà di verificare la validità della metodica in tempi ragionevolmente brevi", ha affermato Robert Fruscio, professore associato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Milano-Bicocca e responsabile clinico della sperimentazione presso l’Ospedale San Gerardo di Monza.
Tutti i precedenti tentativi recenti che si sono concentrati sull’individuazione dei biomarcatori precoci sono falliti e per questo motivo, lo studio italiano rappresenta una possibilità concreta di fare un enorme passo avanti riguardo la lotta al tumore ovarico. "Dal punto di vista clinico la possibilità di contare su una possibile diagnosi precoce oltre che migliorare la percentuale di guarigione consentirà un approccio chirurgico, che rimane la strada principale per la cura, meno invasivo e demolitivo", ha ribadito Fabio Landoni, professore Associato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Milano-Bicocca e Direttore della Ginecologia Chirurgica dell’Ospedale San Gerardo di Monza.
Molti centri hanno già manifestato la volontà di partecipare alla ricerca tra i quali hanno già aderito l’Istituto dei Tumori di Milano, l’istituto europeo dei Tumori, il San Raffaele e l’Humanitas. "Attiveremo rapidamente collaborazioni con tutti i principali centri Italiani ed alcuni centri esteri per valutare questo test su un grande numero di casi, in modo da offrire, il prima possibile, la sua applicazione a tutte le donne. Nell’arco di 4-5 anni dovremo riuscire a concludere tutta la sperimentazione", ha dichiarato D’Incalci.