Si sperimenta una terapia che allunga la vita delle pazienti affette da tumore ovarico

Si sperimenta una terapia che allunga la vita delle pazienti affette da tumore ovarico

  • di Redazione
  • 28 Marzo 2017
  • Italia ed estero

La ricerca continua a fare nuovi passi avanti per le terapie legate al tumore ovarico e la cosiddetta "mutazione Jolie". Gli ultimi risultati sono stati presentati al Congresso dell’Esmo e contemporaneamente pubblicati su The New England Journal of Medicine e riguardano il niraparib, un inibitore dell’enzima Parp importante per la riparazione dei danni al Dna che permetterebbe alle pazienti affette da tumore ovarico di guadagnare anni di vita. L’enzima sarebbe in grado di funzionare nel tumore ovarico ricorrente anche quando non c’è la mutazione del gene BRCA e di offrire una sopravvivenza libera da progressione che può arrivare fino a 21 mesi.

Il niraparib non è attualmente disponibile in Europa ma negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha già concesso la "Fast Truck Designation" ovvero una procedura di approvazione accelerata.

Lo studio di fase III Engot-Ov16/Nova è stato condotto in collaborazione con la Rete Europea dei gruppi di ricerca in Ginecologia Oncologica (Engot) in doppio cieco con niraparib e placebo su 553 pazienti con cancro ovarico ricorrente che rispondevano alla chemioterapia a base di platino.

Secondo quanto pubblicato, i risultati hanno dimostrato che il niraparib ha prolungato significativamente la sopravvivenza libera da progressione della malattia in un vasto campione di donne. Il vero successo della ricerca è che la sopravvivenza è migliorata sia nelle pazienti portatrici della mutazione del BRCA1 sia in quelle non portatrici. Nello studio sono state incluse, con ottimi risultati, anche pazienti che avevano un deficit della ricombinazione omologa (HRD-positive).

"In questa classe di farmaci avevamo già i dati di olaparib che è già in commercio anche in Italia ma solo per le pazienti con la mutazione del gene Brca-1 e Brca-2" ha commentato Sandro Pignata, direttore del Diparitmento 1 di Ginecologia dell’Istituto Tumori di Napoli Irccs "Fondazione G. Pascale" e presidente dell’Engot. "La novità di questo studio è che sono state incluse anche le pazienti non mutate e si è visto che anche in queste donne il farmaco è molto efficace. Dunque, rispetto all’olaparib è stato fatto un importante passo avanti perché possiamo offrire il farmaco ad un gruppo più ampio di pazienti". Su 5mila nuovi casi che si verificano ogni anno, infatti, solo il 20% delle pazienti presenta una mutazione.  

Dati alla mano è stato riscontrato che lo studio fa ben sperare le pazienti che presentano recidiva: "Nelle donne con mutazione del gene Brca-1 si passa da 5 a ben 21 mesi di sopravvivenza libera da progressione, il che significa poter lasciare la paziente libera dalla chemioterapia per più di un anno" ha commentato l’oncologo. Nelle pazienti che non presentavano la mutazione genetica la sopravvivenza è aumentata a 12 mesi rispetto a tre mesi.

Importanti novità anche per la durata di risposta con "un ampio numero di pazienti che continuano a rispondere alla terapia per molto tempo dopo l’inizio della terapia, per esempio dopo 18 mesi".

L’oncologo ha ricordato anche che ci sono degli effetti collaterali legati soprattutto "alla tossicità ematologica per cui si rende necessaria una riduzione della dose, ma si è visto che solo il 3% delle pazienti è costretto a sospendere del tutto il farmaco".