Il tumore ovarico nasconde una doppia malattia riconoscibile da un’impronta genetica

Il tumore ovarico nasconde una doppia malattia riconoscibile da un’impronta genetica

  • di Redazione
  • 3 Novembre 2020
  • Italia ed estero

Il tumore ovarico nella sua forma più aggressiva e diffusa deriva da due tipi di cellule provenienti da tessuti differenti. Si tratta dunque di due malattie distinte, ciascuna con la propria prognosi e curabilità. Lo ha stabilito il team di ricercatori dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) e dell'Università Statale di Milano, che ha indicato che queste due malattie in una, sono diverse ma riconoscibili da un’impronta genetica, il che rappresenta una vera e propria svolta nella comprensione del cancro ovarico.

Il lavoro, pubblicato su Genome Medicine, dovrà essere trasferito in clinica prima di produrre risultati concreti in termini di cure, ma già da ora indica una nuova roadmap verso diagnosi più precise e terapie mirate.

A guidare l'équipe di ricercatori è Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio Ieo di Modellistica ad alta definizione delle malattie e professore ordinario di UniMi. Allo studio, finanziato dalla Fondazione Airc per la ricerca contro il cancro e dal Ministero della Salute, hanno collaborato il Tigem (Telethon Institute of Genetics and Medicine) di Napoli e il Programma tedesco per l'epigenoma Deep (Deutsches Epigenom Programm).

"La nostra ricerca è una svolta nella comprensione del cancro ovarico, una delle maggiori sfide per l'oncologia mondiale e una delle più gravi malattie che affliggono le donne. Nel mondo sono oltre 200 mila le donne che ogni anno scoprono di essere colpite da questo tumore. E in più del 70% dei casi si tratta di temibili carcinomi sierosi di alto grado, che hanno purtroppo una curabilità molto bassa. L'incertezza circa il tessuto d'origine ha finora ostacolato la scoperta dei processi molecolari che causano la malattia e, di conseguenza, lo sviluppo di terapie mirate", ha confermato il Dottor Testa.

"La motivazione principale è il ritardo nella diagnosi: le pazienti nella maggioranza dei casi arrivano ai centri specializzati quando la malattia, favorita anche dalla posizione anatomica, è così avanzata da rendere difficile non solo offrire cure efficaci, ma anche ricostruire la patogenesi del tumore. Noi siamo riusciti in questa impresa, grazie a un approccio epigenetico molto innovativo e a metodiche di ampia e immediata applicabilità clinica", ha spiegato Testa.

"Per capire da quale tessuto nasceva il tumore abbiamo cercato un marcatore epigenetico in grado di distinguere le due possibili origini: le tube di Falloppio e l'epitelio ovarico. Abbiamo utilizzato un approccio basato sulla metilazione del Dna, uno dei meccanismi che modulano l'espressione dei geni, in pratica una delle istruzioni che la cellula usa per attivare nel suo Dna le parti che le permettono di acquisire la sua identità", ha raccontato il primo autore dello studio, Pietro Lo Riso.

"La nostra ipotesi di partenza era che nella trasformazione neoplastica potesse rimanere una memorià della cellula di origine, cioè che nel tumore ci fossero tracce di metilazione del Dna proprie del tessuto in cui era nato. Quindi abbiamo prima identificato l'impronta epigenetica specifica dei due tessuti, cioè un insieme di regioni del Dna differentemente metilate nell'epitelio ovarico e in quello delle tube, poi abbiamo utilizzato questa impronta come marcatore per distinguere i due tumori", ha indicato Lo Riso.

"Abbiamo dimostrato che l'impronta epigenetica della cellula d'origine è in grado di discriminare due sottotipi clinicamente distinti di cancro ovarico. Questa distinzione ha un forte impatto sulla prognosi, perché sappiamo che una forma, quella che origina nell'epitelio stesso dell'ovaio, è più aggressiva dell'altra. Ma soprattutto può avere un forte impatto sulla terapia, perché conoscendo il tessuto d'origine possiamo identificare anche le alterazioni molecolari che hanno guidato la sua trasformazione da sano a neoplastico e possiamo cercare terapie mirate per ripararle", ha concluso Emanuele Villa, coautore della ricerca.

"Per il trasferimento dei risultati alla pratica medica dovremo aspettare di essere pronti per uno studio clinico sperimentale. Tuttavia i risultati appena pubblicati hanno già un effetto immediato, perché indicano una nuova roadmap per la lotta al tumore ovarico permettendo di incanalare in maniera razionale lo sviluppo di terapie più efficaci per ciascuna delle due forme tumorali che abbiamo identificato", ha sottolineato il team di esperti.