Dai 5 agli 8 anni: i vantaggi della terapia ormonale prolungata nel tumore al seno

Dai 5 agli 8 anni: i vantaggi della terapia ormonale prolungata nel tumore al seno

  • di Redazione
  • 21 Settembre 2021
  • Italia ed estero

Sarebbe di 7-8 anni rispetto ai 5 anni attualmente consigliati la durata ideale della cura per le pazienti in postmenopausa con un carcinoma mammario dai recettori ormonali positivi.

Prolungare la terapia ormonale allungherebbe la vita, ma oltre questo periodo di trattamento i rischi possono superare i benefici. A dimostrarlo è stata una ricerca multicentrica italiana del Gruppo Italiano Mammella, coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, presentata durante il convegno annuale della European Society for Medical Oncology (Esmo) e pubblicata contemporaneamente sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet Oncology. "Occorre sempre valutare attentamente il singolo caso. Si tratta del primo studio sulla durata del trattamento adiuvante anti-ormonale ad avere un periodo di osservazione così lungo. I risultati mostrano che il trattamento prolungato per 5 anni con letrozolo, in aggiunta ai 2-3 anni oggi standard con tamoxifene, aumenta le probabilità di sopravvivenza delle pazienti e riduce il rischio di recidive", commenta Lucia Del Mastro, oncologa responsabile della Breast Unit dell’IRCCS San Martino e coordinatrice della ricerca.

I ricercatori dibattono ormai da anni sulla durata ideale della cura ormonale nelle pazienti che sono state curate per un carcinoma mammario diagnosticato in stadio iniziale nel postmenopausa: da un lato c'è il rischio, se il trattamento è troppo breve, che la malattia progredisca e di sviluppare più velocemente metastasi; dall'altro quello di esporsi inutilmente a effetti collaterali, molto variabili e soggettivi, come i dolori articolari, le vampate e l’effetto sul metabolismo dell’osso, con un aumentato rischio di osteoporosi. Alcune donne si sentono protette nel continuare il trattamento, altre, all’opposto, si sentono malate a causa della cura e non vedono l’ora di sospenderla.

"Certo è che occorre sempre affidarsi al giudizio di un bravo oncologo, sia in grado di valutare i pro e i contro di questa eventuale scelta terapeutica, sulla base delle linee guida nazionali e internazionali che abbiamo a disposizione e che tengono conto delle nuove evidenze scientifiche che raccogliamo nel tempo. Gli esiti di questo nostro studio (di fase tre, l'ultimo prima dell'approvazione di una terapia) indicano, ad esempio, che un trattamento consecutivo a base di 2-3 anni con tamoxifene seguito da 5 anni con letrozolo dovrebbe essere considerato una delle terapie endocrine ottimali per le donne con un carcinoma mammario con recettori ormonali positivi in post-menopausa diagnosticato ai primi stadi (I-III) e operabile", ha sottolineato Del Mastro.

Il tumore al seno è il tipo di cancro più frequente in Italia con 55mila nuovi casi scoperti ogni anno e la maggioranza (circa 38mila casi annui) viene diagnosticata in donne in post-menopausa. Fortunatamente ha anche tassi di guarigione fra i più elevati (circa il 90% delle pazienti è viva a 10 anni dalla diagnosi), ma nonostante i molti progressi fatti resta la prima causa di morte per cancro fra le italiane.

Esistono tanti tipi diversi di carcinoma mammario, alcuni molto più aggressivi di altri. Il sottotipo più frequente (circa il 70% dei casi) è proprio quello con recettori ormonali positivi nel quale gli ormoni, in particolare estrogeni e progesterone, rappresentano il combustibile delle cellule tumorali e ne stimolano la crescita. Dopo l’intervento chirurgico, a queste pazienti viene prescritta la terapia anti-ormonale adiuvante allo scopo di bloccare crescita e diffusione di eventuali cellule cancerose residue e ridurre il rischio di recidive. Uno degli schemi standard di terapia anti-ormonale prevede una durata totale di 5 anni: le donne ricevono il trattamento con tamoxifene per 2/3 anni seguito per altri 2/3 anni dalla terapia con un inibitore delle aromatasi, come il letrozolo, che impedisce agli androgeni di trasformarsi in estrogeni.

Lo studio GIM4, co-finanziato dal Ministero della Salute e dai fondi del 5x1000 destinati al Policlinico San Martino, ha coinvolto 69 ospedali di tutta Italia reclutando nell’arco di 5 anni, dal 2005 al 2010, 2056 donne in postmenopausa operate per un carcinoma mammario positivo ai recettori per gli estrogeni e trattate per 2/3 anni con il farmaco anti-ormonale tamoxifene. Le pazienti sono state assegnate casualmente a ricevere l’inibitore dell’aromatasi letrozolo per i successivi 2/3 anni oppure un trattamento prolungato con lo stesso farmaco per 5 anni e poi seguite in media per 12 anni.

"I risultati mostrano che il trattamento prolungato per 5 anni con letrozolo aumenta del 4% le probabilità di sopravvivenza e riduce il rischio di recidive. Oggi le linee guida raccomandano una durata personalizzata del trattamento con letrozolo sulla base della tolleranza al farmaco e del rischio di ricaduta, considerando che nessuno studio ad oggi aveva dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza con la terapia ormonale prolungata oltre i 5 anni. Sulla base dei risultati dello studio GIM4, e in particolare del vantaggio osservato nella sopravvivenza globale, invece, il protocollo terapeutico potrà essere modificato prevedendo una durata ottimale di 7-8 anni per la terapia anti-ormonale. Oltre questa durata, a fronte dell’incremento della tossicità non assistiamo a un aumento della longevità: gli effetti collaterali, come dolori alle articolazioni, ai muscoli, osteoporosi e ipertensione, sono infatti più frequenti. Per questo è necessario che il trattamento non venga proseguita oltre: questa durata appare come il giusto compromesso tra una maggiore efficacia della terapia e un aggravamento eccessivo degli eventi avversi", ha concluso l'esperta.