

Al Sud solo un'italiana su cinque fa la mammografia
- di Redazione
- 13 Settembre 2017
- Italia ed estero
L'importanza della prevenzione e della diagnosi precoce
Ecografia al seno dopo i 30 anni, mammografia dopo i 40 anni, almeno una volta all’anno. Questo è ciò che si consiglia a ogni donna per fare prevenzione. La mammografia, infatti, può salvare la vita riducendo in modo significativo la mortalità per cancro alla mammella, ma nonostante questa evidenza scientifica, sono ancora così poche le italiane che eseguono tale esame. Al Sud, infatti solo una donna su cinque effettua la mammo. Per questo motivo, dal congresso della Società europea di oncologia (Esco) in corso a Madrid, gli oncologi lanciano un appello: «Se la malattia è identificata in fase precoce le guarigioni superano il 90%, per questo è fondamentale aderire allo screening mammografico, che andrebbe esteso fino ai 74 anni». Nel 2015 solo 1.728mila donne hanno effettuato la mammografia davanti a 3.162.000 invitate a effettuare l’analisi. Stiamo parlando del 55% delle italiane ma esiste una differenza lampante tra Nord (63%), Centro (56%) e Sud (36%).
Le statistiche dicono che il tumore colpisce almeno una donna su otto, va anche detto che guarisce oltre il 90% delle pazienti a cui è stato diagnosticato il carcinoma mammario in fase iniziale. Questo avviene soprattutto grazie alla diagnosi precoce. «Il test, attualmente raccomandato con cadenza biennale alle donne fra i 50 e i 69 anni, dovrebbe essere esteso fino a 74 anni. Oggi solo alcune Regioni tra cui Emilia-Romagna e Piemonte hanno ampliato in maniera strutturata la fascia d’età da coinvolgere nei programmi di screening» spiega Stefania Gori, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).
La dottoressa Gori sottolinea l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce: . «Oggi l’87% delle persone colpite da questa malattia nel nostro Paese guarisce, una percentuale superiore alla media europea (81,8%) e se si interviene ai primissimi stadi, le guarigioni superano il 90%». Invece per ciò che concerne le donne ad alto rischio per significativa storia familiare o perché portatrici della mutazione di un particolare gene, BRCA1 o BRCA2, i controlli dovrebbero iniziare a 25 anni, seguendo protocolli diagnostici ben precisi. Fortunatamente, spiega : «Questi sono casi particolari, perché la maggior parte delle diagnosi di tumore del seno sotto i 50 anni non è legata a fattori ereditari».
Oggi è anche migliorata la sopravvivenza nelle pazienti con patologia in stadio avanzato. «Il futuro sarà sempre più rivolto alla personalizzazione delle terapie per colpire la singola neoplasia del singolo paziente. È ormai infatti improprio parlare di tumore del seno: si deve utilizzare il plurale, perché le differenze biologiche sono tali da configurare vere e proprie patologie diverse». sottolinea l’esperta.