La vita in ospedale...il Businco

La vita in ospedale...il Businco

  • di Redazione
  • 13 Gennaio 2020
  • I Mille Colori di Fausta

Un nuovo appassionante racconto della rubrica curata dalla nostra Fausta Mascia ci racconta quello che accade durante le cure

Sono al Businco. Il piano terra è pieno: gente spinta in carrozzella, gente con le grucce, gente accompagnata, altra no, tutti sofferenti, stato che si percepisce dagli sguardi. Il male non ha provocato solo magrezza, calvizie, Picc (che intravedi dai vestiti) ma ha anche logorato l'anima, l'umore, la personalità. La guardata è spesso lontana, assente e molti preferiscono leggere o chattare col telefonino per portare il pensiero altrove. Il tempo da passare è lungo e lo sappiamo però, al piano terra, c'è anche il bar dove puoi rifocillarti e che con i suoi profumi e sapori da quasi l'idea di essere "in pausa caffè" e non nel mondo dei malati. Prendo l'ascensore che mi condurrà al quinto piano, reparto oncologico. Lì, appena l'ascensore si apre, vieni risucchiata da una umanità fittissima: siamo pressati come sardine. A malapena c'è lo spazio per muoversi in un piccolo corridoio lasciato sgombro per i carrelli, eventuali lettighe, il carrello per il pranzo. Sulla sinistra trovi il saloncino con le scomode seggioline azzurre strapiene: è lo spazio attesa chemio, in quelle seggioline passi ore prima di essere chiamata per la terapia quindi la maggior parte di noi legge, prega con il rosario, parla con i vicini, dormicchia. Quelle scomode seggioline, a me che soffro di lombosciatalgia cronica, provocano sempre il riacutizzarsi del dolore.  E’ capitato di stare seduta in attesa anche per 5/6 ore e, non sono poche! Siamo tutti doloranti e malati: le seggiole, a mio avviso, in ragione del tempo di seduta, dovrebbero essere comode e idonee a poggiare il capo a vantaggio di coloro che desiderano chiudere gli occhi e riposare un po' dopo il prelievo o nelle lunghe attese per la chemio.

Nell'ufficio accettazione le impiegate e Francesco mi accolgono con un sorriso: mi siedo e vorrei stare lì a lungo ma una volta ottenuta l'etichetta per i prelievi cedo il mio posto, saluto i miei cari amici dell'ufficio e, nello spazio apposito offro il braccio all'infermiera per il prelievo che con destrezza e delicatezza trova le mie vene che negli ultimi tempi "giocano a nascondino". Dopo mi sposto verso la sala d'attesa: con lo stesso numero attendo per la visita medica. Anche questo spazio è strapieno: qui le poltroncine sono arancio- rosa e leggermente più comode ma rimangono comunque scomode per chi dopo un prelievo cerca un minimo di relax nella consapevolezza che l'incontro con l’oncologo richiederà ore di attesa. Rimango seduta a guardare uno dei due video in attesa che il mio numero compaia sul display come si attende una buona notizia. Solitamente mi coccolo con una cioccolata calda presa dalla macchinetta e leggo. Spesso sono costretta ad alzarmi un poco per lenire il dolore delle membra rattrappite ma lo spazio è carente e a malapena è possibile passeggiare. Quando finalmente giunge il mio turno entro in un andito vasto e libero nel quale sento maggiormente il timore per ciò che può leggere la mia oncologa nei referti.  La mia oncologa è la dottoressa M. C. Cherchi: la sua scrivania è sempre piena di faldoni, il suo telefono squilla spesso e si mette in funzione l'altoparlante, di frequente entrano infermiere o colleghi. L'ufficio è caldo con fiori e due bellissime cornici che racchiudono dei cagnolini  ed io penso quanto deve essere faticoso ed impegnativo il suo lavoro: un lavoro che non lascia spazio e che ti segna l'anima eppure è sempre calma, rassicurante, le sue parole allentano le mie paure e mi fanno apprezzare la vita.

Mentre la guardo intenta a leggere lo schermo del pc l'affetto che nutro per lei scaccia i miei dubbi e mi predispone ad ascoltare la sua diagnosi con serenità anche se so che l'indomani tornerò con le mie sedute nelle scomode seggioline azzurre in attesa del mio numero per fare la chemio e così la settimana successiva per il richiamo. Esco dal suo ufficio rinfrancata, sorrido a coloro che stanno ancora seduti (e all'una, sono ancora troppi!) per scendere al piano terra dove il bar è gremito. Ordino un caffè e mi appresto a lasciare la mia seconda casa verso la  prima dove mi aspetta un bel piatto di gnocchi di patate al ragù, sugo che ho preparato la mattina presto. Quando il grande portone scorrevole si apre verso l’uscita mi guardo indietro e saluto questo mondo di amore/ dolore sapendo che non mi mancherà e che la settimana successiva tornerò… on il sorriso!