L'intruso

L'intruso

  • di Redazione
  • 20 Agosto 2018
  • I Mille Colori di Fausta

Continua l'appuntamento settimanale con la nuovissima rubrica di Fausta Giorgia Mascia

Ricordo come sono morta per la seconda volta: la prima l'ho superata perché guarii, la seconda volta mi hanno aperto la pancia, certe cose le so, anche se non vi ho assistito, so tutto, non esistono regole: una isterctomia addominale radicale la vivi anestetizzata ma, il subconscio, non dorme mai! È stato un meraviglioso primario a strapparmi dalla morte ma … rimangono stanze aperte in cui non ho facoltà di entrare: so che lì "15 occhietti insondabili" possono fermare il mio tempo. Per il male il tempo non esiste, esso viene spazzato via senza tanti rimpianti. Ho settant'anni, ho già vissuto tanto eppure vorrei, se potessi, raccogliere questi 15 "cosi brutti" in un bicchiere per scaraventarli contro il muro…

Fino ad un anno fa non mi era mai passato per la testa che potessi morire di tumore ovarico. Non sapevo che, talvolta, la consapevolezza di esistere sarebbe stata in mano a prelievi e infusioni.

Il primo giorno che affrontai la chemioterapia, avrei urlato, invece ho solo pianto, silenziosamente. Quel giorno, chissà perché, tutte le cose che incontravo nel tragitto in auto mi sembravano di una bellezza sovrumana: il Sole, gli alberi, le persone, le case, i colori … Io che non sono mai riuscita a stare in silenzio a lungo, quel giorno, non dissi una parola. Scuotevo la testa e piangevo silenziosamente. Mi sentivo una naufraga che annaspava invano in cerca della riva, consapevole di non saper nuotare: pensavo che sarei affogata senza alternative. Mio marito cercava di rasserenarmi. Non voleva ascoltarlo: avrei voluto tornare indietro, a casa, al sicuro, e non fare l'infusione; lasciare fare alla vita il suo corso breve o lungo che fosse…

Entrai nell'ospedale, mio marito dietro di me. L'essere nuovamente lì a curarmi mi diede una sensazione di freddo: era come riprendere un calcio in piena faccia. Sopra, al quinto piano, dalle finestre filtrava il Sole che stava fuori. Dentro una bolgia di esseri umani. Non so cosa mi fossi aspettata non certo tutta quella umanità, non quello. Quindi eravamo in tanti, anzi in tantissimi, a non avere più vita facile. Mi sentivo in una dimensione irreale, mi trattenni per paura di una mia qualche reazione e sorrisi al mio uomo. Mio marito si illuminò stringendomi la mano nel mentre pensieri negativi cercavano di invadere la mia mente ma, quasi con violenza, riuscii ad allontanarli. Sentivo tanta paura, lo ammetto. Avevo la consapevolezza che qualcosa di pesante mi aveva incastrata.

"Rimango o me ne vado?" – pensavo – "No! Non sono pensieri da fare. Andrà tutto bene!"

Osservai le persone intorno a me: sembravano tranquille, mi sedetti vicino ad una di loro che mi diede un'occhiata ferma sorridendomi. Non vedevo gente spaventata o sconvolta. Oltre una finestra due gabbiani sorvolavano la città alla ricerca della quiete marina. La stanza afosa dava un senso di soffocamento che mi spinse a chiudere gli occhi. Nel buio della mente improvvisamente scorsi mia madre: piccolina, con gli occhi azzurri fissi verso di me. Cercai di ricordarmi se le avevo manifestato sufficientemente che le volevo bene; tentai di dirle quanto mi fosse mancata in questi ultimi anni ma lei parlò per prima, proprio come faceva quando mi vedeva assorta nei mie pensieri: "Sono qui!" mi disse "quello che rimane dentro di te è solo un piccolo intruso, sei stata operata bene, il piccolo intruso avrà vita breve ma, per carità, fai queste infusioni!"

"Si!"- risponde qualcosa dentro di me che, forse, è l'amore... Sobbalzai, aprii gli occhi, sembrandomi strano, vista la scomodità della seduta, di essermi addormentata. Eppure per tre minuti mi ero assopita. Me ne accorsi guardando l'orologio. Mi sentii stranamente calma. La fede di mamma, lo so, è come un ponticello che arriva in Paradiso…

Pensai: "lo ha chiamato "intruso", anzi no "piccolo intruso". Lei lo vede così. Lei vuole che io lo veda così perché un intruso lo puoi sbattere fuori … Ha ragione! Devo continuare a remare se voglio prenotarmi un posto verso la salvezza. Non devo lasciarmi andare a fondo".

Mi alzai avendo come la sensazione di sentire di nuovo il mio corpo: la stanchezza di prima, la ripresa ora.

"Mi piace!"-pensai- "so che mamma sa che adesso ce la posso fare da sola!"

Avvertii felicità, anche se non disgiunta dalla consapevolezza che avrei dovuto sconfiggere l'intruso che lo immagino con piccoli occhi che sembrano bottoni neri. Continuai a rimuginare sul sogno con un senso di felicità, consapevole del momento presente: "Incredibile! Non avrei trovato da sola il nome più azzeccato: intruso. È solo un intruso che devo cacciare e le cure che mi stanno per somministrare a breve sono le migliori. Mi sento forte e invincibile. Ce la farò mammina! Non è un tumore è solo un intruso ed io lo sbatterò fuori perché remerò forte, anche controcorrente, dato che in tanti mi amano e mani benevole mi hanno operata e strappata dalla morte, e altre mani amorose mi hanno seguita e mi seguiranno qui nel mio percorso. Che strano chiamarlo "intruso"! lo ha sminuito come una mosca da schiacciare. Grazie mammina, ti voglio bene, spero di avertelo detto tantissime volte. Vorrei ridere ma mi trattengo perché, eh sì! chiamarlo intruso è tutta un'altra musica! Ecco hanno chiamato il mio numero so che mi aspettano sei ore di infusione. Non è facile, accidenti non è proprio facile, ma se penso che queste sei ore combatteranno l'intruso beh posso accettarle. A noi due piccolo sordido intruso s'incomincia da qui!".