Di come scoprire che potevo morire mi abbia spinto a provare a vivere

Di come scoprire che potevo morire mi abbia spinto a provare a vivere

  • di Redazione
  • 15 Dicembre 2020
  • Ma, soprattutto, vivere

Nuovo appuntamento con Francesca Tocco che racconta la sua esperienza riguardo il pre e post operatorio

DISCLAIMER: SCRIVO IN UN MODO PARTICOLARE, A VOLTE USO PAROLE DURE O CRUDE, MA NON C’È ALCUN INTENTO OFFENSIVO VERSO NESSUNA COSA O PERSONA

Probabilmente vi starete chiedendo ormai da una settimana, come io sia giunta all’ospedale e come io sia riuscita a scoprire del super mostriciattolo che mi stava facendo ammuffire dall’interno. Mi pare giusto chiedersi come una specie di #novax #malattieinvenzionedelmedico o più semplicemente #grandissimafifona, sia finita all’ospedale. Sarò platealmente svenuta al mercato, mentre una mela rotolava drammaticamente dalla mia mano inerme? Oppure, colta da atroci dolori e, legata a bordo di un’ululante ambulanza, sarò stata costretta a recarmi all’ospedale più vicino gridando "Noooooooo, lasciateeeemiiiiiiiiiii, maledettiiii!!!"? Niente di tutto ciò mie care fanciulle. Il 24 marzo 2020, nel pieno del lockdown, semplicemente ho preso un taxi e mi sono recata al Pronto Soccorso del Brotzu. Ero quella che non andava mai dal medico, anche perché ho avuto la fortuna di non averne bisogno in vita mia. Potevo fingere che le malattie non esistessero anche perché in effetti sono sempre stata piuttosto fortunata a riguardo. Purtroppo però il 24 marzo 2020 avevo un pancione degno della migliore delle Puerpere. Parevano 9 mesi tondi tondi, quelli che il mio medico curante chiamava da circa un mese "meteorismo". Alla fine mi ero scocciata di rotolare in giro per casa, mi ero stancata di sentire le costole esplodere come gli abiti di Hulk mentre cercavo la posizione per dormire. Il medico di base disse al telefono "Non è per queste cose che si va al pronto soccorso! Torni coi piedi per terra!"

Quindi mi ero fatta l’idea che, con buona probabilità, mi avrebbero rimandato a casa con un buffetto e una ramanzina. Alcune amiche però erano molto preoccupate, tra di loro anche quella che io chiamo, per farla arrabbiare, Dottoressa Cucciolina. Il nomignolo potrà far ridere, il fatto però è che è davvero un medico! Insieme alle altre amiche mi ha convinto che non sarebbe stata una così malvagerrima idea, quella di recarmi all’ospedale, così ho deciso di partire per il viaggio della speranza. Posto che quando sono arrivata erano convinti che io fossi una futura mamma ipocondriaca, quando sono riuscita a convincerli che non ero in attesa, mi hanno fatto un’ecografia. "Non ha sentito dei calcettiiii?? dei movimentiiii????" Ci avevano provato un ‘ultima volta prima di sgranare gli occhi e cambiare espressione. Con molta moltissima sospettissima calma mi hanno spiegato che avremmo dovuto fare una tac con mezzo di contrasto. Con molta moltissima sospettissima calma mi hanno ricoverato. Il giorno dopo con molta moltissima sospettissima calma mi hanno informato che sarebbe stata necessaria una "consulenza" all’ospedale oncologico. Al che con molta moltissima terrorizzatissima calma mi sono preparata ad andare, ho raccolto il mio fagotto e con l’ambulanza siamo volati verso il Businco, che per 18 giorni a venire sarebbe stata la mia casa. Lì, in un piccolo ambulatorio dell’Hotel Boosy&Co, hanno tirato fuori dal mio delicato pancino ben 6 litri di liquido ascitico (ve lo ricordate il meteorismo di cui sopra?)

Subito dopo il chirurgo si è seduto davanti al mio letto, mentre lo ascoltavo, dolorante per la paracentesi, sembrava quasi che le luci della stanza fossero state abbassate dalla regia, il volume anche, oppure le mie orecchie non stavano più funzionando, non so. So solo che di quel discorso fatto così lentamente, ricordo soprattutto la parte che parlava del vivere "Qui ed ora". Pur essendo io una persona ironica e pronta alla battuta, avendo appena scoperto di avere un tumore ad uno stadio così avanzato, alla mia età, sapendo che avrei subito a breve una delicata operazione e che quei "Figliuoli" che desideravo tanto non sarebbero mai arrivati sono rimasta sicuramente scioccata, intorpidita, ma una cosa che si è spenta in me è stata la paura. Di cosa dovevo aver paura una volta che il tanto temuto Grande C. mi aveva finalmente ghermito con le sue lunghe, ovariche ed endometriotiche dita? Ho presto sviluppato una strana calma, una grande voglia di comunicare. Qualcuno ha parlato di adrenalina, di dopamina, ma io sapevo che la mia calma poteva essere stata aiutata solo in parte da tali sostanze. Il grosso del lavoro lo aveva fatto l’aver costruito, col tempo e con la psicoterapia, la consapevolezza che quando qualcosa è ormai accaduta non si può più piangere sul latte versato, che ciò che deve succedere succede anche se ti disperi e piangi, quindi perché non evitare di appesantire ulteriormente la situazione? Una cosa che consiglio a chiunque, ma davvero davvero davvero, è di rivolgersi, anche solo per la moltitudine di nevrosi quotidiane di cui siamo tutti vittime, ad uno psicoterapeuta. Lo dico perché a me ha davvero risolto la vita, o, almeno, fatto capire che potevo risolvermela. In quei giorni era come se avessi avuto davanti scritta a grandi lettere, la parola "FINE" nei titoli di coda della mia vita, forse anche perché in quel momento di tumore ovarico non sapevo ancora un bel nulla, quindi ho deciso di passare tutto il mio tempo in "compagnia".

Ho fatto più telefonate e più videochiamate io in ospedale che 60 milioni di italiani durante tutto il lockdown, sembravo una centralinista! In ogni telefonata la mia voce squillava di più e la voglia di comunicare amore e tranquillità a famiglia e amici si faceva grande. Sono stata in quelle chiacchierate infinite psicologa di chi si disperava per me, stand up comedian per far ridere tutti e grande nostalgica di mille ricordi di mille passati diversi. Avevo in mente una parola scritta a lettere così grandi che non vedevo più problemi, debiti, contrasti, quarantene o lockdown di sorta. Vedevo solo il famoso "ORA" che copriva la parola "FINE" luccicando molto di più. Poi sono stata operata, ho fatto un post operatorio meraviglioso e quelle lettere così definitive si sono fatte sempre più piccole, lasciando spazio alla vita e anche a una sorta di "domani". Del mio sontuoso post operatorio in terapia intensiva ho da dire cose molto divertenti e sfiziose. Ma vi racconterò la prossima volta, se sarete ancora così pazzi da voler continuare a leggermi!