Stand up and speak up

Stand up and speak up

  • di Redazione
  • 21 Giugno 2019
  • La collana di perle di Giulia

La rubrica "La collana di perle di Giulia" ci regala un nuovo racconto

Ormai mi sembra ovvio: i tempi in cui viviamo non sono per gli ignavi. E neanche io, comunque, ho mai tollerato la categoria. Che ci piaccia o meno, è tempo di rendere manifeste le nostre idee, le nostre intenzioni e poi, soprattutto, incarnarle, agendo di conseguenza. Non sono tempi per i deboli di cuore, né per chi di solito girava la faccia dall'altra parte e ignorava gli eventi intorno a lui per non rischiare di venire coinvolto. Maleducazione, violenza, abusi anche su piccola scala, magari sul mezzo che usiamo per tornare dal lavoro, discriminazioni e tanta, tantissima, dilagante ignoranza. Capita ovunque, tutti i giorni. È capitato anche a me. Nessun buon senso, tanto meno empatia o solidarietà. Non va bene. Non è questo il mondo nel quale voglio vivere, circondata da indifferenza e ipocrisia. Perché non c’è distinzione tra i fatti di cronaca e quelli che ci sembrano "piccoli incidenti" quotidiani. Non possiamo stare zitti e non difendere il nostro e l’altrui diritto ad essere trattati con rispetto. Perdere la nostra umanità è un lusso che non possiamo permetterci. Chi tace è già colpevole, per come la vedo io. Certo, non è gradevole tanto meno popolare, a volte, prendere una posizione, discutere in maniera educata ma ferma con qualcuno convinto che a vincere sia sempre chi solleva la voce, che tutto sia "lecito", ormai, visto il diffuso clima di intolleranza. Odio quella parola: "ormai". Perché svilisce il momento presente, lo priva di valore, lo delegittima, lo considera pura conseguenza di un momento precedente. E invece è tutto qui quello che abbiamo. L’ Adesso. Dovunque ci troviamo, usando la cultura e l’educazione come armi micidiali per bonificare un po’ questa palude che abbiamo intorno. E io non sono certo una persona abituata a creare allarmismi o a vedere il bicchiere come mezzo vuoto. Solo che la voglia di aprirmi alla Vita non è l’unica lezione che ho imparato da quello stramaledetto tumore. Sono stata ferita, ripetutamente, anche in quel contesto e ho sofferto, ne sono convinta, ancora più del normale proprio perché colta alla sprovvista, in un ambiente in cui avrei dato un braccio per semi sconosciute, illusa che l’avere condiviso un percorso, una lotta, mille malesseri, significasse amarsi al di là delle nostre fragilità, senza esitazioni, in assoluta buona fede. E invece c’è stata, e so esserci ancora, piccolezza, invidia, cattiveria, assenza di grazia.  E anche in questi casi, che sono stati molteplici, il collante di persone meschine ed insicure è stata ora l’ignoranza, ora la scelta a favore dell’omologazione, giudicate come una scorciatoia facile e tutto sommato comoda rispetto al crescere e al maturare.

E io? Dopo l’orribile sensazione iniziale, ho capito di avere una scelta, e l’ho afferrata con entrambe le mani. Ed è una scelta che, consapevoli o no, abbiamo sempre. Quella di decidere quale lezione, davvero, volessi imparare da tanta delusione. Non amarezza, né rancore. Non "occhio per occhio e dente per dente". Non mi si addice e non sarebbe servita. Quello che mi serve, che ci serve, tutti i giorni, è la voglia di buttare via le scorie e rimanere sintonizzati sullo scopo del perché siamo qui. Io il mio lo trovo nella condivisione e nell'empatia. Perché mi fa stare bene concentrarmi sulle infinite risorse che siamo in grado di offrirci, l’un l’altro, quando ci ricordiamo di essere molto più simili che differenti. Costa fatica, sudore e sangue vivere da adulti benevoli e aperti. Ma soprattutto serve coraggio. E se una cosa posso augurare, vi auguro di trovare sempre la forza per pretendere di vivere nella Luce.