Noi donne... e il nostro coraggio

Noi donne... e il nostro coraggio

  • di Redazione
  • 1 Febbraio 2021
  • Ascoltare, meditare e amare

L’amica Donatella Uda ci regala un altro profondo e prezioso racconto 

Mi sono posta tante domande in questi ultimi giorni e una è stata: in quale periodo si è iniziato a parlare di cancro? Con mio grande stupore ho scoperto che il primo scritto riguardante un caso di tumore risale alla medicina egizia. Infatti nell'antico papiro di Kanun (1850 a.C.) è presentata la descrizione di un cancro dell'utero mentre il papiro di Ebers (1550a.C.) tratta della condizione di non curabilità di tale patologia. Sebbene non venisse utilizzato ancora il termine "cancro" pare che intorno al 1600 a.C. il celebre papiro di Edwin Smith descriva otto casi di tumore o ulcere delle mammelle trattate mediante cauterizzazione (operazione di bruciature). Tuttavia l'incurabilità delle neoplasie viene ribadita dal padre della medicina Ippocrate (460- 370 a.C.). Il medico greco, per la prima volta, utilizza il termine carcinoma la cui origine etimologica è granchio, poiché proprio come l'animale divora i tessuti con una morsa dolorosa e acuta. Solo nel XVII secolo fu stabilito un legame fra carcinoma mammario e linfonodi dell'ascella. Il chirurgo francese Petit e quello scozzese Bell furono i primi a rimuovere i linfonodi, il tessuto mammario e la parete muscolare. (Storia dell'oncologia. Tratto da Wikipedia).

Perché queste domande vi starete chiedendo? Inizio a rispondere con una citazione di J. Steinbeck "Un'anima triste può ucciderti più in fretta di un germe" e continuo con una di Ippocrate "La cosa più importante in medicina? Non è tanto la malattia di cui il paziente è affetto, quanto la persona che ne soffre." Il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria che ci porta a ricordare dei raccapriccianti e macabri eventi; svariate volte ho chiuso gli occhi e ho pensato a quei treni che vagavano per le campagne in giornate in cui il sole le illuminava con i suoi raggi e quelle in cui veniva nascosto dalle nuvole grigie e tristi, ma chi era all'interno di quei grandi treni non poteva scrutare, forse, né il sole e né le nuvole. Uomini, bambini e donne in piedi per ore, dovevano trattenere i bisogni fisiologici come la fame, la sete, il sonno e l'evacuazione; non solo, ho pensato a quanti bimbi venisse a mancare l'aria essendo così piccoli e fragili; e a quelle povere donne che avendo il ciclo non potevano far niente per evitare che in quel momento non arrivasse e, oltre al grande dolore, provavano tanta umiliazione. Ecco la risposta alla mia prima domanda poiché pensavo che di cancro si iniziasse a parlare agli inizi del 900 e anche il perché delle citazioni.

Un grande Uomo un giorno mi disse: "Dietro il cancro c'è quasi sempre un grande dolore." E, allora, ancora una volta, il mio pensiero è rivolto allo sconforto di quelle tante donne e chissà se alcune soffrivano di cancro o di altre patologie o se il cancro si sia presentato dopo le tribolazioni. Ma ciò che ad una donna addolora maggiormente è essere separata dai figli senza sapere se li potrà riabbracciare o vederli morire di stenti. Fa così male subire violenze inaudite e non riconoscersi più nella propria immagine fisica, sostare nude in fila, tremanti, davanti a sguardi sprezzanti e agli sputi dei soldati. Le più giovani venivano "usate" e inserite nei bordelli per invogliare al lavoro i prigionieri uomini.

Nel campo non esisteva niente per poter contenere il flusso mestruale delle donne che, se erano fortunate, potevano trovare uno straccio da utilizzare. Ma, causa della scarsa alimentazione e dell'estenuante lavoro, il flusso si bloccava per la maggior parte delle prigioniere. Quale cancro peggiore per queste povere donne! Inoltre l'apparato genitale femminile attraeva l'interesse di medici criminali che si spacciavano per scienziati ed ad alcune di esse si prelevavano campioni di tessuto dall'utero per essere in grado di giungere a diagnosi tempestive di eventuali tumori: con raggi x si sterilizzavano le ovaie e si asportava l'utero o si iniettava un liquido irritante. Tutto perché si dovevano sterilizzare le razze inferiori! Cavie ebree, costrette a sottoporsi a delicati interventi chirurgici privi di anestesia. Inoltre una clamorosa testimonianza è stata riportata dalle sopravvissute che lavoravano in cucina ad Auschwitz: hanno affermato che una dottoressa SS metteva nelle caldaie un prodotto chimico che dava alla zuppa un sapore acidulo e provocava nella bocca e nello stomaco un senso di bruciore, prurito esterno al ventre e alcune donne preferivano non mangiare e alimentarsi di patate crude che riuscivano a sottrarre dai carri. Le prigioniere non potevano mai fermarsi, nemmeno se malate o senza forze. Per alcune donne sopravvissute a così tanta devastazione fisica e psicologica tutto non è mai cessato poiché la sofferenza dei tanti traumi ha persino cancellato l'identità. Non nascondo che mentre scrivo le lacrime scivolano lentamente sul mio viso, penso al freddo climatico ma ancor più al freddo dentro il cuore, a loro, lontane, sole, senza una briciola d'amore, senza una carezza, senza un bacio, senza un abito pulito, senza un letto con una coperta calda, senza un farmaco per lenire i dolori, a quella dignità calpestata, a quei capelli rasati con inumanità. E noi comprendiamo cosa significhi perdere le ciocche e poi rasare i nostri capelli danneggiati dalla chemioterapia. C’è quella lacrima che ci accomuna quando perdiamo qualcosa che fa parte della nostra femminilità, ma come noi, anche e soprattutto loro, hanno avuto una grande volontà, la speranza che certe esperienze non debbano più ripetersi. E così ricordo quell'attimo in cui mi venne comunicato di avere un cancro, le mie parole furono: "Vorrei poter essere l'ultima perché nessuno, né uomo, né donna, né bambino possa avere questa malattia, purtroppo così non sarà ma è pur vero che anche molti malati sono sopravvissuti. E come in ogni mio racconto desidero che regni nel cuore di ognuno di noi la speranza, ovvero colei che ci accompagna in questo nostro viaggio e ci da forza, coraggio nel credere che tutto andrà bene e che nonostante le tante prove che attraversiamo non dobbiamo mai smettere di arrenderci e amare questa meravigliosa vita. Concludo con una poesia di Mario Ruggi poiché anche lui evoca la speranza.

"C'erano uomini...

c'erano uomini, donne e ragazzini.

c'erano vecchi e mamme con bambini;

c'erano lacrime e ricordi di vita già lontane;

c'erano dolori, miseria e violenze disumane;

c'erano punizioni, lavori forzati e soldati;

c'erano silenzi, uomini sporchi e malati;

c'erano eserciti, fili spinati e fredde prigioni;

c'erano divise, numeri incisi ed esecuzioni;

c'erano stenti, fame e malattia;

c'erano ghetti, campi ed epidemie;

c'erano pensieri ed esistenze troppo corte;

c'erano attese palpitanti e promesse di morte;

c'erano cuori spezzati da addii definitivi;

c'erano visioni di tramonti per quelli ancora vivi;

c'erano vergogne appese ad un intelletto violento;

ma anche sogni e speranze fino all'ultimo lamento."