Tumori: la nuova frontiera si chiama immunoterapia

Tumori: la nuova frontiera si chiama immunoterapia

  • di Redazione
  • 12 Giugno 2017
  • Italia ed estero

Arriva da Chicago, dove si è appena concluso il meeting dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), la notizia che potrebbe cambiare per sempre il trattamento dei tumori. Per il futuro si punta a potenziare il sistema immunitario dei pazienti e non solo ad attivarlo, dopo aver riscontrato che il 50% di essi risponde bene alle cure. È un risultato importante che in due o tre anni produrrà nuove strategie di cura da usare in modo trasversale su moltissimi tumori.

"I risultati che abbiamo ottenuto sbloccando il ‘freno’, costituito dai recettori CTLA-4 e PD-1, sono importanti e, considerando tutti i tumori, circa il 50% dei pazienti risponde a queste terapie che, utilizzate da sole o in combinazione, hanno profondamente modificato lo standard di cura in molte neoplasie. Molecole come ipilimumab (anti CTLA-4) e nivolumab (anti PD-1) hanno dimostrato non solo di allungare la sopravvivenza, ma anche di migliorare la qualità di vita dei pazienti", ha dichiarato Michele Maio, Direttore dell’Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena. Ipilimumab è stata la prima molecola immuno-oncologica approvata nel melanoma avanzato, mentre nivolumab è prescritto nel nostro paese per il melanoma, il tumore del polmone e del rene.

Durante l’Asco sono stati presentati anche i dati dello studio Checkmate-358 (di fase 1/2) che per la prima volta hanno riscontrato che il nivolumab è efficace anche nei tumori ginecologici. "Le pazienti colpite da tumori della cervice uterina, della vagina e della vulva in fase avanzata sono state trattate con nivolumab. Le risposte obiettive hanno raggiunto il 20,8%. Il dato significativo riguarda in particolare il controllo della malattia, pari al 70,8%. Significa che in una percentuale molto elevata di donne il tumore si è stabilizzato, in un certo senso si è fermato. La possibilità di utilizzare l’immuno-oncologia in queste pazienti apre opportunità importanti anche perché i trattamenti oggi a disposizione sono poco efficaci. Inoltre nelle pazienti coinvolte nello studio il tumore era correlato al virus HPV (Human Papilloma Virus). Si tratta di un agente eziologico che predispone le donne soprattutto allo sviluppo del cancro della cervice uterina, uno dei più frequenti nelle giovani under 50, al quinto posto con 2.300 nuove diagnosi stimate in Italia nel 2016", ha spiegato Maio.

A partire da ora la vera sfida sarà quella di capire perché l’immunoterapia funzioni soltanto sulla metà dei pazienti. "La sfida immediata è capire perché metà dei pazienti non risponda ai trattamenti immuno-oncologici oggi a disposizione. Vogliamo cioè comprendere meglio le caratteristiche del tumore che in alcuni casi rendono inefficaci queste armi. Finora abbiamo visto solo la punta dell’iceberg dell’immuno-oncologia, oggi si stanno definendo nuove ‘strade’. Ad esempio a Chicago è stato presentato uno studio sulla combinazione di nivolumab con una molecola immuno-oncologica che agisce sul recettore GITR e un altro sulla combinazione con un anti-CD27, entrambi in pazienti con tumori solidi avanzati. Siamo di fronte a una nuova categoria di anticorpi immuno-modulanti, che hanno la capacità di attivare direttamente il sistema immunitario. Non tolgono il ‘freno’ ma premono sull’acceleratore, quindi il loro meccanismo d’azione è diverso. In questi studi la combinazione con nivolumab permette di agire in entrambe le direzioni e i risultati sono promettenti, soprattutto in quei pazienti che finora non hanno risposto alle terapie. In 2-3 anni probabilmente avremo a disposizione nuove strategie di cura da usare in modo trasversale in moltissimi tumori", ha affermato l’oncologo.

Maio ha poi voluto ricordare l’importanza dell’Italia in questo tipo di studi. "Il nostro paese ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle molecole immuno-oncologiche. Sono attivi numerosi gruppi cooperativi con forte capacità di ricerca clinica e preclinica, in particolare quest’ultima potrà aiutare a capire perché non tutti i pazienti rispondano a un trattamento immuno-oncologico".

L’oncologo ha infine specificato che una delle sfide sia ora quella di comprendere i meccanismi di resistenza alle cure nel microambiente tumorale. "Anche citochine, sostanze solubili e cellule del sistema immunitario possono rendere il microambiente tumorale inattaccabile o resistente. È quindi fondamentale creare le condizioni perché il microambiente apra la ‘porta’ alla risposta immunitaria. Al congresso di Chicago è stato presentato uno studio molto interessante sulla combinazione di nivolumab con epacadostat, molecola che agisce direttamente all’interno del microambiente tumorale. Uno dei meccanismi noti di resistenza è rappresentato da un enzima, IDO, prodotto all’interno delle masse tumorali dalle cellule malate e dai linfociti. Epacadostat è in grado di neutralizzare questo enzima che blocca l’attività del sistema immunitario. Nella strategia delineata in questo studio, da un lato si attiva la risposta immunitaria togliendo il ‘freno’ grazie a nivolumab dall’altro, con epacadostat, si agisce direttamente dentro il tumore eliminando l’enzima IDO e facendo sì che il microambiente tumorale sia meno resistente alla terapia", ha sottolineato Maio.