

Tumore ovarico, casi in aumento del 55% entro il 2030
- di Redazione
- 13 Maggio 2025
- Italia ed estero
Il tumore ovarico, o killer silenzioso, continua ad avere una bassa percentuale di sopravvivenza, ma la ricerca sta facendo passi da gigante nella lotta contro questa neoplasia.
"Venti anni fa la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti arruolate negli studi clinici era del 25%. Oggi invece siamo sul 50% nella popolazione di pazienti generale, e arriviamo fino al 70% e addirittura sopra al 90% rispettivamente in chi presenta deficit della ricombinazione omologa (termine che identifica un insieme di difetti genetici, ndr.) e con mutazioni dei geni Brca 1 e 2", ha confermato Domenica Lorusso, direttore dell’Unità Operativa Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X di Milano. Se però guardiamo ai dati al di fuori degli studi clinici, la sopravvivenza a 5 anni arriva solo al 43%.
Neanche le proiezioni per i prossimi 30 anni sono rosee: incidenza e mortalità sembrano destinate ad aumentare ovunque, compresa l’Europa: dell’8% la prima e del 19% la seconda, se non si metteranno in atto nuove strategie, per le quali, certamente, servono anche nuove risorse. Considerando l’intero globo, si parla di aumenti del 55% per l’incidenza (da 324.603 casi l’anno a circa mezzo milione) e del 65% della mortalità (da 69.472 morti l’anno a 75.570); i continenti più colpiti saranno Africa e Asia. "Il che significa, e questo è l’aspetto drammatico, che c'è una disuguaglianza di accesso alle cure", ha commentato Lorusso.
In Italia, per lo scorso anno si stima che ci siano state oltre 5.400 diagnosi di tumore ovarico, di cui la metà di origine genetico-ereditaria (compreso il 25% di donne con mutazioni Brca, come la modella e imprenditrice Bianca Balti). Tutte queste donne dovrebbero essere trattate in centri di riferimento, che accentrano esperienza e garantiscono l’accesso al percorso diagnostico-terapeutico corretto, che comprende i test genomici e genetici, e ovviamente ai farmaci, e che partecipano agli studi clinici internazionali, spesso coordinandoli.
"Numerosi studi di popolazione hanno dimostrato che l’expertise chirurgica e un approccio multidisciplinare al trattamento del tumore ovarico in centri ad alto volume, cioè che trattano molti casi, portano a risultati in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale significativamente migliori rispetto a quelli di pazienti trattate in centri a basso volume", ha ricordato Nicoletta Colombo, direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.L’organizzazione della presa in carico delle pazienti con tumore ovarico va quindi ripensata, andando a identificare i centri ad alta specialità che rispondono ai criteri indicati dalla Società Europea di Ginecologia Oncologica.
"Anche qui dobbiamo avere il coraggio di cambiare lo status quo. Questa della riorganizzazione della presa in carico è una sfida non facile ma improrogabile, perché i progressi della ricerca scientifica e medica hanno migliorato notevolmente i risultati delle cure, ma hanno reso più complicati i percorsi di diagnosi e trattamento, che oggi richiedono ospedali sempre più attrezzati e personale medico e sanitario altamente specializzato", ha concluso Colombo.