Oncologia narrativa, per una medicina più umana, etica ed efficace

Oncologia narrativa, per una medicina più umana, etica ed efficace

  • di Redazione
  • 5 Marzo 2020
  • Italia ed estero

"Oncologia narrativa - Onorare le storie dei pazienti" il libro di Rita Charon è stato recentemente tradotto in italiano.  Rita Charon, medico internista e studiosa di letteratura, ha creato e dirige il Programma di medicina narrativa alla Columbia University. Si occupa di tale disciplina da quasi trent’anni, è la personalità più nota a livello mondiale in questo campo ed è considerata la fondatrice dell'oncologia narrativa. Il suo saggio, considerato una pietra miliare della medicina, consente di integrare le storie dei pazienti nella pratica clinica, di arricchire le evidenze e l’oggettività della scienza medica con il vissuto e le emozioni individuali. 

Nell’opera della Charon la lettura e la scrittura costituiscono uno strumento importantissimo per la medicina in quanto consentono di sviluppare quelle capacità di ascolto e di attenzione necessarie non solo per arrivare a diagnosi più adeguate e a terapie più condivise, ma anche per prendersi cura davvero di chi soffre. Con esempi tratti dalla pratica clinica e dalla letteratura, con un impianto teorico solido e multidisciplinare, Rita Charon ci mostra in che modo si possa sviluppare un contatto empatico con il paziente, per una medicina più umana, etica ed efficace.  

"Una cosa è la narrazione della malattia, un’altra è il lavoro che può essere fatto su questa narrazione attraverso gli strumenti propri della letteratura. Con l’obiettivo di arrivare a diagnosi più adeguate, a terapie più condivise e, soprattutto, a prendersi davvero cura di chi soffre,  così ha detto l’autrice che lo scorso 13 febbraio era alla Casa della Cultura di Milano per la presentazione della prima traduzione italiana del suo saggio.  

Come descrive anche nell’undicesimo capitolo del libro, Charon ha organizzato degli appuntamento settimanali per due mesi in cui gli operatori del reparto (oncologi, chirurghi, infermieri e assistenti sociali) si sono riuniti per parlare di poesia. "Li abbiamo messi a fare qualcosa in cui nessuno di loro era bravo: leggevano poesie, discutevano del loro significato, provavano a scriverne. Era la prima volta che parlavano di qualcosa che non riguardasse il loro lavoro. Incredibilmente, avevano lavorato insieme per più di dieci anni e scoprivano solo in quel momento che uno di loro aveva perso un figlio a causa del cancro".

Il gruppo di ricerca di Charon aveva testato, sia all’inizio sia alla fine dell’esperimento, le capacità del gruppo di interagire come un team: "Alla fine dei due mesi, spiega, abbiamo osservato come fosse diventato molto più facile per ciascuno legittimare i punti di vista degli altri e soprattutto parlare di ciò che causava maggior disagio sul lavoro. Questo è il vero punto: affrontare il "disincanto" che spesso sperimentano i nostri operatori sanitari, che ha caratteristiche molto particolarii". Poi prosegue: "Non è solo il fatto di trovarsi spesso di fronte a persone molto malate che non possono essere salvate, spiega Charon: "Piuttosto, è sapere quale sarebbe la cosa giusta da fare e non essere nelle condizioni di poterla fare, perché magari il sistema non lo permette. È un concetto mutuato dal mondo militare: non è fatica, non è tristezza, ma è vedere tradita la propria vocazione. Sentire che non stiamo più compiendo del bene. È una ferita morale. Cosa serve, allora? Bisogna fare 'rifornimento' del nostro senso di essere buoni e per farlo abbiamo bisogno di qualcuno che si trova nella nostra stessa condizione. Per questo da tempo mettiamo insieme gli operatori e facciamo lo stesso tipo di lavoro: permettiamo loro di condividere questa ferita. Che non vuol dire lamentarsi o sfogarsi, ma riformare il sé e, allo stesso tempo, unire le forze per opporsi insieme al sistema che sta causando questa ferita. I nostri medici non hanno solo bisogno di vacanze, ma di crescita personale e di giustizia".

Il legame medico-paziente è importantissimo e con esso l’allaenza terapeutica: "Alla prima visita dico sempre ai pazienti che sarò il loro medico e che per questo avrò bisogno di sapere tutto quello che ritengono io debba sapere. E loro raccontano. Sembra poco, ma questa dichiarazione di disponibilità all’ascolto cambia completamente il rapporto medico-paziente."