Michela Murgia : “Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere”

Michela Murgia : “Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere”

  • di Redazione
  • 9 Maggio 2023
  • Italia ed estero

"Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere" così Michela Murgia racconta del suo tumore al quarto stadio e lo fa attraverso il libro Tre Ciotole, edizione Mondadori, che uscirà il prossimo 16 maggio. 

In Tre ciotole la protagonista di uno dei racconti non parla di male oscuro o di alieno, da combattere, "perché non mi riconosco nel registro bellico. Parole come lotta, guerra, trincea... Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno... non mi riconosco nel registro bellico. Mi sto curando con un'immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L'obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti".

Racconta anche che: "il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l'ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l'alieno".

L’ autrice di Accabadora, la vincitrice del premio Mondello, la barricadera di Istruzioni per diventare fascisti e Stai zitta, la cronista impegnata di Il mondo deve sapere, la cattofemminista di Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, God save the Queer. Catechismo femminista, fa il punto della sua vita senza rimpianti attraverso i social e in un’intervista al Corriere della Sera: "Ho cinquant'anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi". Molte vite alle spalle, come spiega lei stessa (tra cui anche insegnante di religione). 

Racconta anche della sua passione per il coreano e per la Corea, amori sbocciati in un periodo di estrema difficoltà, seguito allo shit storm che le si era scaraventato addosso quando, all'inizio del lockdown, in una trasmissione televisiva, aveva criticato la retorica di guerra costruita intorno a quella malattia, "l'uso del registro lessicale militare e dei simboli bellici - medaglie, armi e divise - nella comunicazione della gestione dell'emergenza covid", la stessa metafora che anche oggi non avvicina alla malattia cancro.
Allora l'attacco fu violentissimo ma a farla meditare e risollevare fu il video della star coreana Kim Tae-hyung dei BTS che si accascia sul red carpet.
Era l'aprile del 2021 e come lei stessa ricorda in un suo articolo: "In quei sette secondi di video i BTS hanno messo in atto una consapevolezza comportamentale di cui avrei avuto estremo bisogno nella mia vita: il fatto che nessuna persona possa rimettersi in piedi al tuo posto non le impedisce di inginocchiarsi al tuo fianco. Quel video mi dimostrava che davanti alla fragilità non esiste solo la risposta dei rapporti di forza, dove sei costretta a chiederti chi è più potente, chi lo è meno, chi può aiutare chi e chi non può farlo. Esisteva da qualche parte nel mondo anche la categoria della parità fragile, della capacità non innata di flettersi insieme allo stesso vento finché il vento non passa, durasse anche solo i pochi secondi di un calo di pressione davanti ai fotografi".

E poi aggiunge con estrema lucidità: "Ho comprato casa, con dieci posti letto, dove stare tutti insieme; mi è spiaciuto solo che mi abbiano negato il mutuo in quanto malata. Ho fatto tutto quello che volevo. E ora mi sposo. Con un uomo, ma poteva anche essere una donna"