La combinazione niraparib-bevacizumab efficace contro il tumore ovarico avanzato

La combinazione niraparib-bevacizumab efficace contro il tumore ovarico avanzato

  • di Redazione
  • 24 Marzo 2022
  • Italia ed estero

La combinazione dell’inibitore di PARP niraparib con l’anti-VEGF bevacizumab dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino è efficace nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato di nuova diagnosi, indipendentemente dallo stato dei biomarcatori. È quanto emerso dai dati di un'analisi aggiornata dello studio di fase 2 OVARIO, presentati durante l’Annual Meeting on Women’s Cancer della Society of Gynecologic Oncology (SGO).

Al momento del cut-off dei dati (del 16 giugno 2021), le 105 pazienti trattate con niraparib più bevacizumab hanno mostrato una sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana di 19,6 mesi (IC al 95% 16,5-25,1), mentre il tasso di PFS a 18 mesi è risultato del 62% (IC al 95% 52%-71%) e quello di PFS a 24 mesi del 53% (IC al 95% 43%-63%). Il follow-up mediano è stato di 28,7 mesi (range: inter quartile, 23,9-32,5).

"Lo studio OVARIO ha arruolato una popolazione di pazienti ad alto rischio. Ciononostante più della metà delle pazienti non era andata incontro a progressione a 24 mesi e il beneficio di PFS è stato osservato nella popolazione complessiva e nei sottogruppi stratificati in base allo stato dei biomarcatori in un continuum", ha affermato Melissa Hardesty, dell'Alaska Women's Cancer Care di Anchorage.

Lo studio OVARIO (NCT03326193) ha arruolato pazienti con carcinoma ovarico epiteliale sieroso di alto grado o endometrioide in stadio IIIB-IV, delle tube di Falloppio o peritoneale. Dello studio hanno fatto parte donne che avevano ottenuto una risposta completa o parziale o non mostravano nessuna evidenza di malattia dopo il trattamento con la chemioterapia di prima linea a base di platino più bevacizumab.

Le 82 donne di peso inferiore a 77 kg e/o con una conta piastrinica inferiore a 150.000/µl sono state trattate con niraparib 200 mg/die più bevacizumab 15 mg/kg una volta ogni 3 settimane, mentre le altre 23 sono state trattate con niraparib 300 mg/die più bevacizumab 15 mg/kg una volta ogni 3 settimane. Tutte le partecipanti sono state sottoposte al test dell’HRD al momento dell'arruolamento.

L'endpoint primario dello studio era il tasso di PFS a 18 mesi, mentre gli endpoint secondari includevano la PFS mediana, la sopravvivenza globale (OS), il tempo alla prima terapia successiva e la sicurezza. I tassi di PFS a 6 e 12 mesi erano endpoint esplorativi.
 

Per lo studio sono state considerate donne con un’età media di 60 anni (range: 37-82). La maggior parte delle pazienti aveva un performance status ECOG pari a 0 (63%), una malattia in stadio IIIC al momento della diagnosi (68%) e un’istologia sierosa (95%). Inoltre, il 47% è risultato HRD-positivo al test e quindi presentava un deficit della ricombinazione omologa (Homologous Recombination Deficiency, HRD).

Il 63% delle partecipanti era stato precedentemente sottoposto alla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia di intervallo (Interval Debulking Surgery, IDS). La maggior parte delle pazienti (il 58%) aveva ottenuto una risposta completa o l’assenza di evidenze di malattia dopo l’intervento chirurgico precedente o la chemioterapia, mentre il 42% aveva ottenuto una risposta parziale.

La media del tempo al primo trattamento successivo è risultata di 17,5 mesi (IC al 95% 14,5-20,7), mentre la media del tempo alla seconda progressione non è risultata valutabile (NE) (IC al 95% 32,1-NE). I dati di OS erano ancora immaturi al momento dell'analisi.

Le analisi relative agli outcome a seconda dello stato dei biomarcatori hanno mostrato una PFS mediana più alta nelle 49 pazienti con HRD rispetto alle 38 pazienti con il sistema della ricombinazione omologa funzionante (Homologous Recombination Proficiency, HRP) e alle 18 pazienti nelle quali non si era potuto determinate lo stato della ricombinazione omologa (HRnd): 28,3 mesi (IC al 95% 19,9-NE) contro 14,2 mesi (IC al 95% 8,6-16,8) e 12,1 mesi (IC al 95% 8-NE), rispettivamente.

All'interno del sottogruppo con HRD, la PFS mediana è risultata non valutabile (IC al 95% 19,3-NE) in 29 pazienti portatrici di mutazioni di BRCA, mentre è risultata di 28,3 mesi in 16 pazienti con mutazioni di BRCA wild-type (IC al 95% 12,1-NE).

Dal punto di vista del profilo di sicurezza e tollerabilità non ci sono state sorprese e non sono stati osservati eventi avversi nuovi associati alla combinazione, come ha riferito Melissa Hardesty.

Tutte le pazienti hanno manifestato un evento avverso correlato al trattamento di qualsiasi grado, che nella maggior parte dei casi (80%) è stato di grado 3 o superiore e nel 77% dei casi è stato ritenuto correlato a niraparib e nel 51% attribuito a bevacizumab.
Gli eventi avversi correlati al trattamento più comuni di qualsiasi grado sono stati la trombocitopenia (70%), l’affaticamento (57%), l’anemia (52%) e la nausea (52%). Gli eventi avversi correlati al trattamento di grado 3 o superiore comuni sono stati la trombocitopenia (39%), l’anemia (34%) e l’ipertensione (27%).

Eventi avversi che hanno richiesto una sospensione del trattamento, una riduzione del dosaggio o un’interruzione definitiva del trattamento sono stati riportati rispettivamente nell'88%, 74% e 40% delle pazienti.

Il trattamento con niraparib più bevacizumab non ha avuto alcun impatto clinicamente significativo sulla qualità di vita, valutata in base alla variazione del punteggio del Functional Assessment of Cancer Therapy-Ovarian Symptom Index (FOSI); infatti, il punteggio di base era pari a 25,7 ( deviazione standard [DS], 3,79) e la variazione media rispetto al valore basale è stata di -0,7 (DS, 0,35), come confermato dalla Hardesty.