Donne e lavoro dopo il tumore

Donne e lavoro dopo il tumore

  • di Redazione
  • 18 Ottobre 2017
  • Italia ed estero

Il lavoro diventa una priorità soprattutto per alcune donne che si ammalano di tumore, sì perchè grazie ad esso si ha la sensazione di sentirsi utili per la società e la possibilità di staccare e pensare meno alla malattia, il tornare alla normalità della vita di tutti i giorni, senza avere la percezione di essere diverse. Per questo tutelare il posto di lavoro, per molte donne colpite dal cancro, è importantissimo. La circolare 40 emessa dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel 2005 - tutela i pazienti oncologici: sebbene sussistano delle differenze tra lavoratori dipendenti (e ancora: tra dipendenti pubblici e privati) e autonomi. Ma lo scenario, purtroppo, non è dei migliori. Nei primi dieci anni del nuovo millennio, secondo un'indagine della Federazione italiana associazioni volontariato in oncologia (Favo) e del Censis, più di 240mila persone con una diagnosi di tumore hanno perso il lavoro.

Oggi il 63% delle donne sconfigge il cancro e, una diagnosi su tre viene registrata in una paziente giovane, dunque in piena attività lavorativa, la possibilità di conservare il proprio impiego risulta un bisogno sempre più sentito. «Perché pensare all'occupazione aiuta a guardare oltre la malattia - afferma Eleonora Capovilla, responsabile dell'unità operativa di psiconcologia dell'istituto Oncologico Veneto di Padova -. Ma la reazione non è sempre la medesima. C'è chi, dopo aver scoperto il cancro, ridefinisce le priorità e limita le attenzioni rivolte al lavoro, per concentrarsi più su se stesso e sui relazioni sociali».

Da una parte ci sono le donne che mettono al primo posto la propria professionalità per trovare la forza di andare oltre un tumore e dall'altra chi dopo la malattia preferisce mettersi a riposo e tornare quasi all’essenziale privilegiando i rapporti umani. «A grandi linee, la differenza è marcata dal grado di appagamento dato dal proprio lavoro - sostiene Claudia Borreani, responsabile della struttura di psicologia clinica dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Al primo gruppo appartengono le donne realizzate, coloro le quali occupano spesso ruoli di responsabilità. Sono loro a considerare l'impegno professionale un'occasione per distrarsi dalle terapie. Chi svolge mansioni faticose e spesso poco gratificanti difficilmente spinge per rientrare in ufficio il prima possibile. In questi casi non di rado capita di sentirsi chiedere quanto il lavoro possa aver contribuito all'insorgenza della malattia o se riprendere la routine possa condizionare il rischio di recidiva».