Ricordi d'infanzia

Ricordi d'infanzia

  • di Redazione
  • 23 Ottobre 2018
  • Rita, poesie e non solo

Ritorna l’appuntamento del martedì con la rubrica curata dalla nostra magica Rita Meleddu.

L' infanzia è un periodo lungo, certo non si può ricordare o riportare tutto, ci vorrebbe una vita, ma lascerò andare la memoria e racconterò ciò  che riemerge.
Il primo giorno di scuola, traumatico per molti bambini, lo fu un pochino anche per me. Avevo frequentato l'asilo di cui ho ricordi vaghi, riaffiorano alla mente banchi sui quali le suore dopo pranzo ci facevano poggiare la testa per farci fare un pisolino. Io non dormivo perché non ero abituata ma facevo finta. In sottofondo un disco monotono che narrava una storia.  Avevo sempre paura che mi sgridassero. Ricordo la borsettina di plastica bianca o rosa o bianca e rosa per le femminucce che doveva contenere la merendina e un bavaglino. Lo spuntino di noi tutti bambini dell'epoca consisteva quasi sempre in un pezzo di pane e un frutto. In genere una mela. Mi pare che rimanessi a digiuno perché a tutt' oggi la mela non è il mio frutto preferito, così la riportavo a casa. Invece non ricordo che fine facesse la fetta di pane. MI vengono in mente i servizi igienici: water piccolini come nella fiaba di Biancaneve e i sette nani, porte basse che non si chiudevano a chiave, ma, mi pare di ricordare, si aprivano a spinta. C'era sempre un odorino niente affatto piacevole.
In generale sebbene sfocati, ho bei ricordi degli anni dell'asilo. Non c'era pericolo come succede adesso che chiudessero per mancanza di bambini. Eravamo davvero tantissimi! Era tutto un vociare, rincorrersi, giocare insieme, accapigliarsi per cose futili, c'era il momento del gioco e quello dell' apprendimento. Le suore insegnavano. Era insomma una vita come quella che si incontrava allora in tanti asili italiani.  
Finito l'asilo, naturalmente si andava a scuola. Ricordo bene il primo giorno. Intanto non volevo entrare.  Dicevo che non sapevo niente. Mia sorella mi rassicurava che neppure gli altri bambini del primo giorno di scuola erano preparati. Ma aveva un bel dire. Io cocciuta restavo del mio parere. Cosa ci facevo a scuola se non sapevo nulla? Le menti dei bambini e le loro elucubrazioni. Non ricordo se piangevo ma può essere... Comunque, come Dio vuole, entrai in classe insieme alle mie compagne. Si, perché non c'erano ancora le classi miste.  Eravamo tantissimi. Certo che in quel periodo non c'era nemmeno la crisi delle nascite. La maestra si presentò, poi fece l'appello e così cominciammo a conoscerci. Io e un'altra bambina, perché più alte della media, fummo messe a sedere nelle file dei banchi dietro. Il primo giorno la lezione fu breve. La maestra ci fece solo disegnare. Io realizzai una casetta col fumo che usciva dal camino. Lo ricordo benissimo! Ad un certo punto mi stufai: volevo tornare a casa, ma capii subito che lì non comandavo io e avrei dovuto obbedire alla maestra, altro che andarmene in giro per l'aula!  La classe era enorme. Eravamo sicuramente venticinque bambine, ma dietro l'ultima fila dei banchi c'era ancora tanto spazio e, in fondo, attaccati al muro mi pare ci fossero degli armadietti che contenevano cancelleria e quanto poteva servire. La maestra seduta in cattedra sembrava incombere su di noi con la sua presenza. La lavagna in un angolo e al muro il tabellone classico con le lettere e un disegno, il cui nome iniziava appunto con la lettera che compariva nel disegno. Ricordo O come oca. I come imbuto ecc. Poi magari mi sbaglio. Parlo di fatti accaduti cinquant’anni fa. Il tabellone si illuminava e agli occhi di noi bambine piccole esercitava un certo fascino.  Comunque passato il primo giorno di sconcerto, la scuola divenne ben presto un luogo anche piacevole. Mi piaceva studiare, così non mi pesava, si giocava pure e si chiacchierava. Arte che da quanto ricordo ho esercitato fin da piccola! Piano piano nascevano le amicizie e si formavano i gruppetti. Ogni tanto la maestra ci portava in gita. Non ci spostavamo di molto, essendo la scuola costruita un po' fuori mano. Dunque facevamo due passi ed eravamo in campagna. Questo ci piaceva molto. Al rientro quasi sempre la maestra ci chiedeva di raccontare sotto forma di pensierini le nostre emozioni. E noi eseguivamo. Ricordo le fredde giornate invernali. Si usciva da casa a piedi, non come oggi che i bambini non fanno due passi a piedi, ma vengono quasi tutti accompagnati in macchina e fanno dal calduccio di casa, al calore della macchina, al tepore dell' aula, poiché se per qualsiasi motivo non funziona il riscaldamento, non entrano a scuola neanche morti. Noi usciamo col freddo gelido, con l'acqua e col vento e non certo equipaggiati come i bimbi d'oggi. Il vento freddo pareva essere fatto di lame che tagliavano il viso. Indossavamo il cappottino che era lo stesso per tanti anni, fino a che non si poteva più portare o perché ormai piccolo o perché consunto,  la cuffia, la sciarpa e i guanti. Fine! Nessuna giacca a vento per ripararci bene o tessuti tecnologici respingi freddo. Il gelo entrava dappertutto, ci trapassava di parte in parte. Lo sentivamo nelle ossa. Fortunata chi aveva gli stivaletti e calze pesanti. Ricordo compagne recarsi in pieno inverno a scuola con calzine e zocoletti. Ma nessuno prendeva in giro la meno fortunata. Era quasi la norma. Ai miei tempi non c'era il riscaldamento. Si può immaginare il freddo, le aule enormi, i soffitti alti, finestre che sicuramente facevano entrare gli spifferi, c’era giusto una stufetta a gas che la maggior parte delle volte era rivolta verso la maestra. Chi ne sapeva di riscaldamento? Nelle nostre case erano in uso solo i caminetti che si sa bene, per quanto carichi, scaldavano solo le persone che prendevano posto davanti ad esso. Noi bambine però eravamo contente comunque. L' ora di ricreazione era quella che ci piaceva di più. Allora tiravamo fuori le nostre merende simili a quelle dell' asilo che, vale la pena ricordarlo, consistevano in un panino e un frutto. Qualche volta una brioche o dei biscotti. Certo che in casa non c'era tutto il ben di Dio che c'è ora. In casa mia (ora) c'è di tutto. Dal dolce al salato. Prima non era così e dirò che era molto più bello. Avendo poco apprezzavamo tutto. C'era poco da scialare. Non ci mancava certo il necessario e forse avevamo anche qualcosa in più, ma non c'era il superfluo. Ricordo che nella nostra scuola elementare offrivano un servizio di mensa. A parte la pasta e fagioli mi piaceva tutto. E anche lì non c'era mica da scegliere!  Un primo, un formaggino o un pezzo di formaggio e mi pare di ricordare un uovo. Mai visto fettine di carne. Del resto bisognava accontentarsi di ciò che passava il convento e dunque la scelta era: "O questo o questo " sempre quello era. Ma c'erano pochi vizi. Mangiavamo tutto e con gusto. E parola sconosciuta ormai ai più, ringraziavamo pure. Comunque tra un compito, un dettato, un riassunto e un'interrogazione passavano anche gli anni d' oro dell'infanzia. A me e alle compagnette piacevano tanto le ricerche da fare in gruppo, così che ci riunivamo nelle case ora di quella, ora di questa amica e studiavamo insieme. Furbescamente sceglievamo di andare da quelle che avevano mamme cuoche provette, così che la merenda a base di ottimi biscotti fatti in casa era assicurata. Altra cosa che ci piaceva molto era partecipare alle nostre modeste feste di compleanno. Oggi si prenotano locali, intrattenitori per i bimbi, si ordina il catering e tantissimo altro, naturalmente si ricevono regali super. Noi ci accontentavamo di una torta e qualche bibita, ma non era detto che ci fossero sempre le bibite e la festeggiata riceveva quasi sempre il regalo scaturito dalla nostra colletta di soldi che si può ben capire era piuttosto misera. Quasi sempre il regalo consisteva in una confezione che conteneva una bottiglietta di profumo alla violetta e dei fazzolettini colorati o ricamati. Non ho mai capito l'associazione tra profumo alla violetta e fazzolettini, ma tant'è, quello passava il convento e quello ci tenevamo. Ah, che bei tempi, volevo parlarvi anche della mia passione della lettura, di come è nata, ma mi sono allungata fin troppo e sarà per un' altra volta.