La paura ritorna

La paura ritorna

  • di Redazione
  • 7 Novembre 2017
  • Rita, poesie e non solo

Racconto a puntate: parte 1

Prima puntata del racconto della nostra magica Rita Meleddu

Tutto ciò che sto scrivendo ultimamente è unito senza volerlo e senza cercarlo da un filo comune.  Il sottopiano della sorte, i viaggi della speranza e ora " la paura ritorna ", sono uniti da attese, ansie, speranze e certezze quasi mai piacevoli. 

Un pomeriggio d'autunno mene stavo tranquilla seppur dolorante (ormai il dolore è una costante, non ci faccio neppure più caso, tranne quando vedo mio marito e allora mi produco in automatico in una serie di "Ohi, ahi, ahia!", per muoverlo a compassione, quando ricevo una telefonata dall'ospedale . Dobbiamo recarci lì.  La mia oncologa mi vuole parlare.  Naturalmente non mi viene detto il perché della convocazione, anche se una certa idea me la sono fatta.  Ho degli esami in sospeso da refertare.  Evidentemente la dottoressa li ha visionati.  Se tutto va bene e non è tempo di visite, perché mi dovrebbe chiamare? Essere chiamati a rapporto senza appuntamento non è mai buon segno. Che vorrà mai?

Escludo a priori che la dottoressa abbia desiderio di vedere la mia bella faccia perché le piaccio, o per fare una partita a canasta con me o per insegnarmi la la votazione  del tombolo.  Non so giocare a canasta e non voglio imparare l'arte del pizzo al tombolo e non ho una bella faccia.
È anche vero che la mia dottoressa nelle ore di ambulatorio non passa il tempo a giocare a qualsivoglia gioco e neppure a produrre pizzi e merletti.  E dunque, perché mi vuole vedere?  L'appuntamento è fissato sul tardo pomeriggio.  Mumble mumble , le più strane congetture si fanno strada nella mia testa. Penso e mi arrovello il cervello. Come un pensieroso personaggio dei fumetti  creato da Walt Disney,  ancora mumble mumble...

Partiamo in silenzio, poi però mi metto a cantare sulla voce di Zucchero, che un giorno o l'altro a forza di cantare le sue canzoni e quasi a evocarlo, si materializzera' all'interno dell' auto. 
Però siamo seri, molto seri. Mio marito mi sembra più spaventato di me.  Andiamo bene! Saprà qualcosa che io non so? Mah!  A breve è probabile (altamente probabile) che riceva una cattiva notizia, e allora perché non approfittare del fatto che sono ancora ignara di ciò che mi verrà comunicato e non fare merenda? Un piccolo break insomma.  A seconda di quello che mi verrà comunicato mi passerà l'apettito in eterno.  Ne sarà felice mio marito. Così facciamo. Poi arriviamo in ospedale. 

Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, a tanti anni fa, quando avevo molta paura. L'ospedale è davvero la mia seconda casa. Ci vado sempre con gioia e desiderio di fare ciò che mi attende. L'ospedale al pomeriggio inoltrato ha la tristezza e il silenzio tipici dei giorni di festa, quando tutto al suo interno è ovattato e i ritmi sono più lenti.  Al mattino e nei giorni feriali è persino allegro. È tutto un via vai di persone. Pazienti, accompagnatori, visitatori, medici,infermieri, inservienti ecc. È un piccolo mondo che vive di vita propria.  C'è fermento.  Sul far della sera è come una piccola città che la notte piano piano, poco alla volta, spegne le sue luci e si appresta a dormire .

Sono stata in ospedale un Natale di alcuni anni fa. Mio marito vi si trovava ricoverato. Che tristezza! Pochissimi pazienti ricoverati.  Chi può, chiaramente e giustamente in occasione di una festa così sentita e importante, viene mandato a casa. Lui non poteva venire a casa, così andammo noi. L'ospedale era deserto. Si può solo immaginare l'entusiasmo di medici e infermieri. Il bar era chiuso. Non si incontrava un'anima neanche a pagarla oro. Un silenzio irreale aleggiava nell' aria. Del resto mio marito aveva ben poca voglia di confabulare con chicchessia.  Lui non è come me che notoriamente attacco bottone anche con l'asta che regge le flebo. Però anche il giorno successe una cosa piacevole pur in un contesto non propriamente allegro...